Non toccare il gatto
di Mary Stewart
Rizzoli, 1977
pp. 238
Titolo originale Touch
not the cat (trad. di Pier Francesco Paolini)
Su un piano puramente oggettivo, esistono svariati motivi per cui un lettore non dovrebbe interessarsi a questo volume:
1. La scomodità: Mary Stewart non è più edita
in Italia da almeno trent’anni, ne rimangono tracce sporadiche nelle
biblioteche, nei mercatini dell’usato o nelle librerie dei nonni. Nessuno – ed
è un peccato – ricorda più nemmeno la sua straordinaria saga sul ciclo bretone,
la sua riscrittura vivida e originale delle avventure di Merlino, Artù e i
cavalieri che lo servivano. Quest’opera poi è sicuramente minoritaria nella
produzione autoriale, quindi può presentare serie difficoltà di reperimento.
2. La versione italiana: non me ne voglia il
traduttore, ma i congiuntivi esistono, e lui spesso non sembra esserne
consapevole. Questo può provocare orticaria, reazioni inconsulte ed esplosioni
colleriche da parte del lettore, che inizia a segnare con profondi solchi di
matita la pagina per indicare i passi che andrebbero riscritti obbedendo alle sacre leggi della grammatica
italiana. A questo si aggiungono numerosi refusi, che passano in secondo piano
soltanto perché paragonati al ben più drammatico problema precedente.
3. La trama: il romanzo, di per sé, presenta
tutti gli elementi della narrativa di consumo di massa. La protagonista
e narratrice, Bryony, è una ragazza giovane, graziosa e sufficientemente
ingenua, coinvolta suo malgrado nel mistero che circonda l’improvvisa morte del
padre. Se a questo si aggiunge l’appartenenza ad una nobile dinastia di antica
origine, l’ambientazione gotica, l’eredità contesa di un castello decadente ed
una relazione telepatica di lunga data con un misterioso amante, fascinoso
quanto sconosciuto, il quadro è completo (e sufficiente, immagino, a far
inorridire gli spiriti più critici).
Eppure. Eppure qualcuno sceglierà forse di andare in
biblioteca, o al mercatino dell’usato, o nella libreria dei nonni, per
cercare comunque questo libro. E, dopotutto, potrà non pentirsene.
1. L’autrice: Mary Stewart sa scrivere, e
piacevolmente. Questa può non essere la più riuscita tra le sue opere, ma
mostra già l’abilità della scrittrice nel dosare la narrazione, distribuire gli
indizi, costruire una storia che prende il lettore e lo trattiene fino
all’ultima pagina. Per chi la conosce, Non
toccare il gatto è un modo per conoscerla meglio, al di fuori dell'epopea arturiana inaugurata con La grotta di
cristallo. Per chi non la conosce, può invece essere un buon punto di
partenza alla riscoperta di un’autrice quasi dimenticata, almeno sul suolo
italico.
2. Lo svago: con un po’ di vergogna, il
lettore disposto a sospendere l’incredulità riconoscerà alla fine di essersi
appassionato alle vicende narrate. Di aver, magari, rinunciato ad uscire un
sabato pomeriggio, o accantonato faccende urgenti pur di arrivare in fondo. Non
si tratta, è sicuro, di un romanzo intellettualmente impegnat(iv)o, non ci sono
risvolti educativi degni di rilevanza, né morali suggerite o imposte. Viene
tuttavia riconosciuto e sancito il sacrosanto diritto del lettore di
abbandonarsi ad una forma di letteratura che sia puro gusto, puro piacere, puro
lasciarsi andare. Di permettersi, anche, di fare il tifo per i personaggi, di
sperare che le cose non siano come sembrano, di gioire quando un’intuizione si
rivela sempre più probabile, pagina dopo pagina.
3. La trama: ebbene sì, ancora lei. Perché
c’è anche chi ama le vicende gotiche e misteriose, gli elementi sovrannaturali,
le storie d’amore difficili e tormentate (specie quelle che, come in questo
caso, vengono continuamente messe in relazione con l’esplicito ipotesto
shakespeariano costituito da Romeo e
Giulietta). E laddove l’intreccio si presenta a tratti debole,
l’intelligenza dell’autrice può contribuire a riscattarlo, attraverso una
rilettura ponderata di temi usurati: la costruzione ambientale è armoniosa, equilibrata;
i personaggi sono ben caratterizzati; lo stesso argomento della telepatia, che
avrebbe potuto trascinare l’intero romanzo in un abisso grottesco, viene
motivato, indagato, rinnovato.
Per quanto riguarda me, non sono tuttora in grado di
formulare un giudizio univoco. So per certo che i punti problematici potrebbero
essere per molti insuperabili e inaccettabili. Io stessa, inizialmente, non
avrei mai pensato che mi sarei lasciata avvincere e mi sono trovata costernata
dalla mia incapacità di chiudere il libro prima di averlo finito. Forse la mia
tolleranza è legata ai miei trascorsi con l’autrice, letta e amata
appassionatamente durante l’adolescenza. Alla luce di questo amore mai sopito,
tuttavia, mi permetto di consigliare almeno un tentativo. Gli elementi sono
stati messi sulla bilancia, faccia ora il lettore i suoi calcoli accorti.
Carolina Pernigo