di Nicola Morgantini
Editrice Effequ, 2015
pp. 139
Di nobili discendenze, Adriana Ivancich appartiene a una famiglia veneziana proprietaria di un palazzo disegnato dal Sansovino che sorge in Calle del Remedio a Venezia, di una villa a San Michele al Tagliamento, pressoché distrutta dai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche dei palazzi Ferro e Fini adiacenti a palazzo Pisani (il futuro Hotel Gritti). Tutti questi luoghi hanno fatto da sfondo al romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi di Ernest Hemingway.
Adriana è la musa ispiratrice del romanzo nonché il modello su cui viene plasmato il personaggio di Renata, la giovanissima protagonista femminile. Dal canto suo, il colonnello Cantwell, che è il protagonista maschile, ha un'evidente somiglianza fisica con Hemingway di cui è a sua volta coetaneo.
Adriana Ivancich, scrittrice e disegnatrice di talento, conosce Ernest Hemingway a Venezia, nel 1948. Lei ha 18 anni, lui 50. Tra loro nasce una grande amicizia e un sodalizio letterario. Non ci è dato sapere con certezza se il loro rapporto abbia assunto una connotazione di stampo sentimentale, come invece sostiene Jeffrey Meyers, biografo del grande scrittore americano.
L'unica cosa certa, come peraltro ribadisce Nicola Morgantini, è che il loro sodalizio porta con sé anche tante, troppe maldicenze: Adriana si sente schiacciata e l'amicizia s'interrompe nel 1955, dopo sette anni caratterizzati anche e soprattutto da una fitta corrispondenza, specie dopo il ritorno di Hemingway a Cuba, dove avrebbe ultimato il romanzo per il quale Adriana disegnò la copertina. [...] D'un tratto, la giovane donna smise di scrivergli e di leggere le sue lettere. Voleva emanciparsi da lui, certa che col tempo i loro rapporti sarebbero ripresi. Ma tempo non ce ne fu.
A modo suo, Hemingway cercò di risparmiare ad Adriana le conseguenze di uno scandalo ben più grande, vietando la pubblicazione in Italia del romanzo, dove sarebbe uscito solo nel 1965, quattro anni dopo la sua morte.
I critici dell'epoca riservarono un'accoglienza piuttosto tiepida a Di là dal fiume e tra gli alberi. Pare che Hemingway abbia sofferto non poco a causa di quei giudizi poco lusinghieri, soprattutto perché la moglie e gran parte dei loro amici non avevano fatto mistero di condividerli appieno. In realtà, è assai probabile che nessuno si aspettasse un romanzo crepuscolare, con un Hemingway insolitamente intimista e introspettivo, quasi a voler tracciare un bilancio della sua esistenza.
Dopo la rottura dell'amicizia che lo legava ad Adriana Ivancich, lo scrittore, minato anche da gravi problemi di salute, affonda sempre più nel baratro della depressione che culminerà nel suicidio, avvenuto nel 1961.Adriana, la cui giovinezza è stata avvelenata dalle maldicenze per quell'amicizia sulla cui vera connotazione lo stesso Hemingway ha sempre mantenuto il massimo riserbo perfino con la moglie Mary e gli amici più stretti, vorrebbe cancellare con un colpo di spugna questo capitolo della sua vita, nato sotto i migliori auspici per poi ritrovarsi avvinto ad un alone di misera turpitudine. Ma soprattutto vorrebbe lasciarsi alle spalle il passato, rinnegando il suo talento di scrittrice che le ha portato solo dolori e umiliazioni. Per non soccombere al senso di colpa per averlo lasciato solo con la sua malinconia e con i suoi fantasmi, [...] arrivò a maledire il giorno in cui l'aveva conosciuto e in un moto d'ira distrusse gran parte delle sue lettere.
Accetta di sposare Thomas e di trasferirsi con lui a Milano, cullandosi nell'illusione che questo nobile alto e biondo, capace di infonderle sicurezza, le avrebbe permesso di ripartire da zero, al riparo dagli imprevisti, [...] essendo un uomo tutto d'un pezzo, che frequentava solo persone tutte d'un pezzo.
Vuole convincersi a tutti i costi che, conformandosi allo stile e alle aspettative di Thomas, avrebbe vissuto un'esistenza appagante e serena, senza quei viaggi agli inferi che spesso si tramutano in una sorta di pegno da pagare per chiunque decida di immolarsi sull'altare dell'Arte.
Nel volgere di poco tempo, anche questa illusione si sfalda, lasciando Adriana in preda alla noia e alla tristezza. Il ricordo di Hemingway si riaffaccia alla sua mente, facendole rivivere i momenti più gioiosi e spensierati. Le risate, gli scherzi, le avventure, [...] la letteratura che s'intreccia alla vita, ma anche al senso di colpa per averlo abbandonato.
La pubblicazione postuma di Di là dal fiume e tra gli alberi amplifica ulteriormente il turbinio delle sue emozioni. Ricorda ancora la dedica sull'edizione americana del romanzo: To Adriana who inspired everything that's good in this book and nothing that's not.
Il romanzo non le piacque perché Renata era una ragazza disinibita, mentre lei non aveva neppure la malizia di prevedere che le pagine, che descrivevano un amplesso tra la stessa Renata e il colonnello Cantwell, rischiavano di rovinarle la reputazione.
E quando lo rilesse, pochi mesi prima del suicidio dello scrittore, fu avvolta da un cupo senso d'angoscia scaturito dalla lucida consapevolezza che quelle pagine contenevano la premonizione della tragedia. Cantwell amava Renata, sapeva di avere poco tempo da vivere e l'amava con la stessa ostinata disperazione con la quale Ernest aveva amato lei.
Ora, mentre stringe fra le mani l'edizione italiana di Across the river, quell'antico turbinio di emozioni si è stemperato in una sorta di spleen avulso da qualunque rigurgito di asperità quasi come se, in un angolo recondito del suo cuore, Adriana desideri solo riconciliarsi con il ricordo di Hemingway prima di consegnarlo definitivamente all'oblio.
La sua vita è accanto a Thomas, e con lui intende costruire una vera famiglia. Nasceranno due figli che, per qualche tempo, sapranno tenere i suoi fantasmi a debita distanza.
Nella primavera del 1978, Adriana, nuovamente avvinta alla spirale delle sue angosce, tenta il suicidio. A salvarla sarà Thomas che, con l'autocontrollo e il senso pratico che da sempre lo contraddistinguono, gestisce la situazione nei minimi dettagli, senza far trapelare la benché minima emozione. Per Adriana, è l'inizio di un nuovo calvario, dove alle degenze ospedaliere si alternano momenti all'insegna di una serenità apparentemente ritrovata, mentre il ricordo di Hemingway emerge con sempre maggior prepotenza, complici anche le sedute di psicoterapia a cui si sottopone regolarmente. Ed è proprio in quel periodo che si riaffaccia con prepotenza anche il suo bisogno di scrivere, che coltiva dapprima di nascosto e poi, via via, con crescente assiduità e frenesia. Thomas finisce giocoforza per accorgersene e teme che le precarie condizioni di salute della moglie possano subire un duro colpo. Ma Adriana non intende sentir ragione, perlomeno, non fino al giorno in cui avrà ultimato il suo progetto: un libro di memorie scritto nel preciso intento di far luce sulla sua amicizia con Hemingway, attingendo, a mo' di prova inconfutabile della sua buona fede, alle centinaia di lettere dello scrittore americano, e alle testimonianze di Hotchner, amico, agente e sceneggiatore di Hemingway.
Nel 1980, Mondadori accetta di pubblicare le sue memorie, che usciranno con il titolo La torre bianca. Il titolo si riferisce alla turris eburnea della Finca Vigia, la residenza cubana dello scrittore. Adriana è convinta di potersi riscattare agli occhi del mondo. Finalmente, tutti sarebbero venuti a conoscenza della verità e nessuno avrebbe più avuto motivo di riversarle addosso calunnie e umiliazioni gratuite. Era ben lungi dal credere che l'epilogo sarebbe stato molto diverso.
Alcuni critici l'accusarono di essersi inventata tutto. Altri stroncarono la qualità dell'opera, mentre un critico del Corriere scrisse: Un finto diario attraverso il quale si cerca di spacciare l'artificio letterario per verità. Ernest Hemingway lo abbiamo amato tutti. E non giova certamente all'autrice di questa malriuscita iniziativa editoriale rappresentarcelo come un languido personaggio che traeva ispirazione per le sue opere immortali dall'amore che provava per lei.
Adriana è un'anima fragile ferita a morte. Piange tutte le sue lacrime e cerca conforto in Thomas che, come un padre magnanimo ma, ahimè, pragmatico fino al midollo, si stupisce del suo dolore per una simile inezia, e la redarguisce aspramente [...] maledicendo lei, Hemingway e il libro.
Adriana è sola, in preda allo smarrimento e al dubbio di aver commesso un nuovo, imperdonabile errore. Teme di aver infangato la memoria di Hemingway, nell'impeto di voler dimostrare in modo tangibile l'inconsistenza di tante, troppe illazioni. A conti fatti, Renata era solo un personaggio letterario, come lo stesso Hemingway aveva scritto nell'epigrafe di Across the river. Ma teme anche di aver deluso Thomas, i suoi figli, la sua famiglia, gli amici e il grande pubblico per rincorrere un'illusione andata in frantumi.
Questa volta sente di essere giunta a un passo dal baratro.
Il tessuto narrativo de La musa di Hemingway, che fa perno sugli ultimi anni di vita di Adriana Ivancich, trae spunto da una serie di fatti realmente accaduti, per poi dipanarsi attraverso la fantasia dell'autore che ricrea in modo convincente i pensieri, i dialoghi e le azioni dei protagonisti i cui nomi, eccezion fatta per Ivancich e Hemingway, sono stati cambiati a significare la loro appartenenza a una dimensione verosimile ma non reale.
A margine di queste doverose considerazioni, ritengo che si tratti di un progetto letterario decisamente ben riuscito.
Alcuni critici l'accusarono di essersi inventata tutto. Altri stroncarono la qualità dell'opera, mentre un critico del Corriere scrisse: Un finto diario attraverso il quale si cerca di spacciare l'artificio letterario per verità. Ernest Hemingway lo abbiamo amato tutti. E non giova certamente all'autrice di questa malriuscita iniziativa editoriale rappresentarcelo come un languido personaggio che traeva ispirazione per le sue opere immortali dall'amore che provava per lei.
Adriana è un'anima fragile ferita a morte. Piange tutte le sue lacrime e cerca conforto in Thomas che, come un padre magnanimo ma, ahimè, pragmatico fino al midollo, si stupisce del suo dolore per una simile inezia, e la redarguisce aspramente [...] maledicendo lei, Hemingway e il libro.
Adriana è sola, in preda allo smarrimento e al dubbio di aver commesso un nuovo, imperdonabile errore. Teme di aver infangato la memoria di Hemingway, nell'impeto di voler dimostrare in modo tangibile l'inconsistenza di tante, troppe illazioni. A conti fatti, Renata era solo un personaggio letterario, come lo stesso Hemingway aveva scritto nell'epigrafe di Across the river. Ma teme anche di aver deluso Thomas, i suoi figli, la sua famiglia, gli amici e il grande pubblico per rincorrere un'illusione andata in frantumi.
Questa volta sente di essere giunta a un passo dal baratro.
Il tessuto narrativo de La musa di Hemingway, che fa perno sugli ultimi anni di vita di Adriana Ivancich, trae spunto da una serie di fatti realmente accaduti, per poi dipanarsi attraverso la fantasia dell'autore che ricrea in modo convincente i pensieri, i dialoghi e le azioni dei protagonisti i cui nomi, eccezion fatta per Ivancich e Hemingway, sono stati cambiati a significare la loro appartenenza a una dimensione verosimile ma non reale.
A margine di queste doverose considerazioni, ritengo che si tratti di un progetto letterario decisamente ben riuscito.
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