La vita perfetta
di Renée Knight
Edizioni Piemme, 2016
Traduzione di Velia Februari
pp. 282
€ 19,50
€ 19,50
Qualsiasi analogia con persone, vive o scomparse…La formula
del disclaimer, nella prima pagina, è barrata da una riga rossa. Se ne accorge
solo ora: non ci aveva fatto caso quando ha iniziato a leggere. La somiglianza
non è puramente casuale; è innegabile. È lei, Catherine.
Tutti noi tendiamo a riconoscerci nei personaggi di film e
romanzi. Quante volte abbiamo notato una somiglianza con un personaggio, una
situazione che ci è sembrato di aver vissuto, un dettaglio del protagonista che
è da sempre una nostra caratteristica? Quando ci rivediamo nelle pagine o sulla
pellicola ci sentiamo importanti, quasi fosse la nostra vita portata alla
conoscenza del grande pubblico. Quello che per molti pare un momento di gloria
riflessa, per Catherine Ravenscroft è solo un incubo che ritorna dal passato.
Catherine, film- maker di successo, felicemente sposata e
madre di un figlio ormai grande, non sa chi abbia messo quel libro
autopubblicato e praticamente sconosciuto nella sua libreria. Né lei né il
marito ricordano di averlo mai acquistato; eppure, eccolo saltare fuori dagli
scatoloni del trasloco. Quel romanzo, a metà tra harmony e noir, non racconta
una storia casuale o immaginaria: ripercorre nel dettaglio un episodio lontano
del passato di Catherine, una vicenda che non ha mai raccontato a nessuno e che
non riesce a capire come possa essere giunta a conoscenza del misterioso autore
che si è insinuato nella sua vita e nella sua casa. Non è una storia che vuole
ricordare né condividere perché, se venisse a galla, potrebbe distruggere tutta
la sua vita accuratamente costruita.
Pensava di proteggerli tutti impedendo a quella storia di
irrompere nelle loro vite.
Difficile parlare di un thriller ben fatto: si ha sempre il
timore di dire troppo, di bruciare i colpi di scena e far respirare quando
invece andrebbe trattenuto il fiato. Disclaimer, tradotto per Piemme con La
vita perfetta, è appunto un thriller costruito con tutti gli elementi base.
C’è
un segreto alla base, gelosamente custodito dalla protagonista che sa che, in
caso di rivelazione, la sua vita andrebbe in pezzi. C’è un misterioso
antagonista, in questo caso l’autore del libro, che diventa voce narrante a
capitoli alterni e si fa giudice e carnefice della protagonista per farle
pagare qualcosa legato a quel segreto. Ci sono (pochi) comprimari che orbitano
intorno ai due fulcri e restano ignari, prima, e scioccati, poi, alla
rivelazione del segreto. La tensione psicologica va in crescendo, come un
elastico allungato gradualmente fino all’inevitabile schiocco di rottura. Tutti
i thriller ben fatti hanno questa molecole di base, ma La vita perfetta le utilizza
in maniera inaspettata.
L’utilizzo di un romanzo sconosciuto e assente da ogni
libreria come innesco per la vicenda è un vedo- non- vedo: l’autore vorrebbe
far venire a galla la vicenda, ma colpendo solo la diretta interessata.
Scrivere una cosa nero su bianco per tenerla comunque occulta.
Se poi è vero
che il binomio protagonista/ antagonista è rispettato, è anche vero che
entrambi i personaggi ospitano al loro interno diverse voci narranti.
Abbiamo
la Catherine del presente, terrorizzata da quello che il libro può portare alla
luce, la Catherine mangiatrice di uomini che vive tra le pagine e nella mente
dell’autore e la Catherine del passato che non assomiglia a nessuna delle altre
due versioni. L’antagonista presta invece la voce al mondo dei morti: oltre al
suo Io narrante, assistiamo allo sdoppiamento della sua personalità. Da una
parte, la voce vendicativa della moglie defunta di cui lui impersona il ruolo
in maniera hitchcockiana vestendo i suoi vecchi cardigan, dall’altra quella del
figlio ventenne ormai morto da anni in circostanze poco chiare. In questo
teatro in cui ciascuno mette e toglie una maschera a seconda della prospettiva
di scena, ci si accorge che nessuno di loro sa quale sia veramente il proprio
ruolo. Tutti dubitano di tutto, ad un certo punto: della situazione, dei
ricordi, degli affetti e persino di loro stessi. Anche il lettore sente di
mettere e togliere una maschera sempre diversa: in un capitolo è portato a
credere ad una versione, poche pagine dopo prova empatia per chi prima
disprezzava, e ancora così fino veramente quasi all’ultima pagina.
Di più non
si può dire perché sarebbe davvero un peccato rovinare una storia così ben
costruita sia per personaggi che per il crescendo della tensione. Molto meglio trattenere il fiato fino alla fine.