di Jonathan Franzen
Einaudi, 2016
pp.
€ 22 (cartaceo)
Non mi capitava da tempo di avvertire la necessità di far decantare un libro prima di scriverne la recensione. Dalla fine di Purity sono passate due settimane, e ancora qualcosa nel suo ricordo è tanto vivido da sembrare appena concluso.
Sarà che nelle prime pagine, il lettore è portato a dare confidenza a Purity, giovanissima alle prese con un nome che odia, una madre ansiosa iper-presente nonostante la lontananza, un debito universitario prepotente e un lavoro da centralinista poco appagante. Qualcosa poi insospettisce, e sembra avvertire che presto ci sarà una svolta nel suo presente grigio: forse già tra i letti di quella casa simile a una "comune" in cui vive, innamorata ma non corrisposta? O sarà la raccomandazione di una delle sue coinquiline, la bellissima ma controversa Annagret, a farla partecipare a uno stage pagato in Bolivia presso il Sunlight Project? Tutti conoscono il suo fondatore, Andreas Wolf, amato da alcuni e odiato da molti, ma personaggio pubblico di grande carisma: col suo progetto, ha deciso di rivelare segreti che la stampa ordinaria oscurava, contrapponendosi programmaticamente a WikiLeaks.
Ed è proprio quando iniziamo ad appassionarci e immaginiamo una futura storia d'amore o magari di iniziazione che Franzen, con un colpo da maestro (sadico), conclude la sezione e ne apre un'altra, dedicata al passato di Andreas. Dovremmo essere abituati ai dirottamenti di sinossi e ai colpi di scena di Franzen, dalle Correzioni a Libertà, né dovremmo farci sconvolgere dalla crudele ironia del destino che mette a contatto personaggi diversissimi che si scoprono poi avere qualcosa in comune. Eppure, qualcosa nella possente struttura di Purity conferma la capacità di Franzen di smentire la prevedibilità. Più si procede nella lettura e più si trovano fili rossi con cui potremmo legare Purity, Andreas, Annagret e gli altri; ma sono fili da cui i personaggi si liberano in fretta, per poi intessere nuovi nodi con altri personaggi ancora. Quel che lascia storditi, alla fine di Purity, è proprio la rete di contatti strettissima tra passato e presente, ma anche tra continenti e generazioni diverse. Impressionante? Viene da chiedersi se non esista un burattinaio, dietro (metafisico o in carne ed ossa, lo scoprirete leggendo il romanzo).
E poi. E poi c'è la capacità di Franzen di tenere avvinti per oltre seicento pagine, passando da una vicenda all'altra, quasi si trattasse di romanzi distinti, ma non è così: appena le vite di Purity e di Andreas si uniscono in un progetto utopistico in una foresta boliviana altrettanto utopistica (o forse, ancor prima, in scambi di email inquietantemente utopistici), con la promessa utopistica di trovare l'identità del padre di Purity, è chiaro che Franzen sta per preparare un'unica grande, intricata e beffarda messinscena, in cui non conta tanto la verosimiglianza, ma la coerenza nel gioco delle parti. Al lettore non resta che stare al gioco e constatare, alla fine, quanto tutto sia stato magistralmente orchestrato. Intanto, i personaggi non si limitano a sfilare tra le pagine, ma vivono, pensano e interpretano secondo il loro giudizio e la loro psicologia. Non si fa in tempo a chiedersi: dove vuoi andare a finire, Franzen?, che vengono introdotti un nuovo personaggio e un colpo di scena. Quando le seicento pagine sono passate, si resta a bocca aperta.
GMGhioni
Frase preferita:
Quella sera, sotto l'effetto del vino e dei segni mistici, Anabel si accinse a migliorarmi. Per stare con lei mi servivano ambizioni migliori. (p. 411)
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