Non sparate sul regista
di Simone Cerri
Las Vegas Edizioni, "I Jolly", 2016
pp. 200
Parlare rivolti al televisore: non è un problema solo delle nonne.
Quante volte, all'ennesima scena incredibile, sopra le righe e ritrita, ci
siamo messi ad esclamare, tra l'irritato e il divertito: "Ma non è
possibile!". Oppure: "Ma come fanno a non capire che si tratta di una
trappola?". E ancora: "Non ci credo che sia uscito vivo da una
situazione del genere". Gli spettacoli che più stuzzicano questa tendenza
alla verbosità aggressiva contro un oggetto inanimato sono di due categorie: le
romantic comedy con le loro situazione zuccherose e inarrivabili e gli action
movie, soprattutto quelli degli anni '70- '80. Il divertente trattatello
di Simone Cerri, edito per la collana Vegas edizioni,
punta proprio sulla seconda categoria.
Tutti noi abbiamo in mente una serie di situazioni, ambientazioni
e personaggi che si ripetono regolarmente nei film d'azione americani: l'eroe
che compie improbabili attività ginniche volte a sfuggire ai cattivi di turno,
la malfamata palestra che si trova sempre in un sotterraneo, i condotti di
aerazione sempre presenti e pronti per la rapida fuga del protagonista. Queste
sono solo le prime che saltano alla mente: la produzione cinematografica ci ha
talmente tanto abituato alle situazioni più improbabili da averci quasi tolto
la sensibilità nel riconoscerle. L’autore mette ordine in tutte le
casistiche e ci offre un ampio catalogo per aiutarci ad orientarci nei clichè
offerti dal cinema americano. Un piccolo Morandini dell'assurdo
cinematografico. Tanto per andare sul concreto, gustiamo qualche chicca e
partiamo proprio da una classica scena del delitto.
LA SCENA DEL DELITTO
Vero è che se c’è un film d’azione ci sarà un delitto, e
quindi una scena del delitto. Non si comprendono però molti aspetti, sempre
uguai. Innanzitutto il cadavere viene sempre ritrovato alle sei di mattina da
uno che faceva jogging. Rarissimi e quasi insignificanti a livello statistico
le varianti.(…) Non ci sono mai impronte, mai trace, mai documenti. In America,
rprobabilmente, quando qualcuno sa che potrebbe essere ucciso, esce sadicamente
di casa senza documenti per incasinare il lavoro al nostro amico Jack.(…) dopo
due minuti che è sulla scena del delitto, si accovaccerà per un istante (forse
per capire meglio la scena del delitto, forse per allacciarsi le stringhe ) e
taaaac, subito scorprirà qualcosa di risolutivo e fondamentale che l’esercito
di perdigiono aveva ignorato. Un bossolo, un anello, un’impronta, un documento
di identità, una confessione giurata dell’assassino e autenticata dal notaio, e
altri reperti di importanza piuttosto determinante, ma che fino a quel momento
nessuno aveva notato.
Che dire, poi, dell’evidente altissima percentuale di rapimenti che
si consumano ogni giorno tra le strade degli States?
IL RAPIMENTO
Il criminale, per essere certo che riuscirà a mettere le
mani addosso alla somma del riscatto seminando la quasi certa copertura della
polizia, decide di fare delle telefonate dalle cabine telefoniche di mezza
città. (…) Il poliziotto (che è sempre il protagonista principale e si chiama
Jack) evidentemente da anni fa colazione con caffè e Tuttocittà, perché non ha
mai un’esitazione topografica
Esempio:
RAPITORE: hai presente i giardinetti tra la
Grovesmore Square e la Lincoln Street, all’altezza del Wilkesboro Bridge? C’è
un gelataio sulla quarantina che fa i ghiaccioli al lampone e basta, poi cento
metri dietro un vecchio venditore di panini rancidi. Dietro ci sono tre cabine
telefoniche. Vai in quella di mezzo.” Il tutto detto in fretta. (…)il nostro
eroe non batte ciglio. (…)
Se succedesse in Italia, il rapito verrebbe ucciso
al primo indizio perché la trattativa proseguirebbe brevemente in questo modo
RAPITORE: Conosci piazzale Corvetto? C’è una cartoleria
all’angolo con la via Marochetti…”
POLIZIOTTO: Ma la Marochetti quale scusi? Quella che va in
su o quella che va in giù?
Bang. Rapito, morto!
Le pellicole americane, oltre alle situazioni, ci hanno
abituato ad una carrellata di personaggi che si ripete sempre uguale a sé stessa.
Dal senatore corrotto che minaccia tutti dicendo “Sono il senatore Johnson! Non
puoi toccarmi!”, al capetto della gang di quartiere sempre con il cappello
girato al contrario, al figlio dell’eroe, lamentoso perché il padre non
riesce mai ad andare alle sue partite di football. Scopriamo una figura
fondamentale, ma che resta sempre di sfondo.
IL BARISTA FILOSOFO
L’America è sicuramente la terra delle opportunità. Da noi
un laureato in filosofia, anche brillante, in cosa può sperare? In una cattedra
mal pagata e peggio riscaldata?(…) Negli Stati Uniti il laureato in filosofia
può invece aprire un bar e impiegarsi come barista filosofo. (,,,) che nazione
l’America; non è come in Italia dove al bar si prende un caffè in fretta e ci
si piglia per il culo sulla base dei risultati di calcio. No, da loro si prende
un whisky o uno scotch e si parla di amore, di vita, di significati alti e
profondi dell’esistenza insomma.(…)
Ora, così preparata per additare ogni esasperante assurdità degli action
movie, aspetto con ansia la messa alla gogna anche dei film romantici.
Un po' per par condicio e un po' per vedere se, in tutti questi anni di visione
compulsiva, sono riuscita ad individuare tutti gli elementi ricorrenti.
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