Quasi signorina
di Cristina Portolano
Topipittori, 2016
pp. 160
€ 16.00
Solitamente i fumetti autobiografici sono un buon modo per raccontare cose importanti senza fare il minimo sforzo. Che è il modo peggiore per farlo: fatto di vita, ricordo divertente ma malinconico, moraletta e via andare, il nostro dovere lo si è fatto. Per questo li odio. Non li sopporto perché ci trovo sempre una profonda mancanza nell'osare allontanarsi dalla propria vita, da quello che si è fatto e visto, per provare a raccontare qualcosa di diverso ma che sappia scorrere in parallelo con il proprio vissuto. Anche perché solitamente gli autori non hanno il coraggio di trasformare la propria persona in un personaggio, sintetizzandosi e semplificandosi sino ad acquisire una complessità narrativa più interessante della loro vera personalità. Pensate a Crumb, pensate a Gipi che si riducono ai minimi termini del foglio bianco e solo in quel momento sono in grado di esprimere odio, dolore e felicità senza preoccuparsi di quel che succederà alla propria persona e di come questa venga percepita dai lettori una volta che si andrà a scontrare col proprio personaggio. Magari è solo un mio problema sia chiaro, probabilmente dovuto al fatto - come già spiegavo altrove - che trovo poco interessanti i racconti che rielaborano i vissuti generazionali senza l'intermediazione di una storia, di un intreccio, di una trama. Se proprio fossi obbligato a entrare nell'odiosa spirale della nostalgia fatta dei ricordi della scuola elementare, dei giocattoli, dei cartoni animati, della musica dei miei quindici anni, preferirei farlo coi miei amici piuttosto che con un libro che utilizza lo stesso linguaggio e le stesse modalità narrative di quattro trentenni che parlano delle Tartarughe Ninja.
di Cristina Portolano
Topipittori, 2016
pp. 160
€ 16.00
Solitamente i fumetti autobiografici sono un buon modo per raccontare cose importanti senza fare il minimo sforzo. Che è il modo peggiore per farlo: fatto di vita, ricordo divertente ma malinconico, moraletta e via andare, il nostro dovere lo si è fatto. Per questo li odio. Non li sopporto perché ci trovo sempre una profonda mancanza nell'osare allontanarsi dalla propria vita, da quello che si è fatto e visto, per provare a raccontare qualcosa di diverso ma che sappia scorrere in parallelo con il proprio vissuto. Anche perché solitamente gli autori non hanno il coraggio di trasformare la propria persona in un personaggio, sintetizzandosi e semplificandosi sino ad acquisire una complessità narrativa più interessante della loro vera personalità. Pensate a Crumb, pensate a Gipi che si riducono ai minimi termini del foglio bianco e solo in quel momento sono in grado di esprimere odio, dolore e felicità senza preoccuparsi di quel che succederà alla propria persona e di come questa venga percepita dai lettori una volta che si andrà a scontrare col proprio personaggio. Magari è solo un mio problema sia chiaro, probabilmente dovuto al fatto - come già spiegavo altrove - che trovo poco interessanti i racconti che rielaborano i vissuti generazionali senza l'intermediazione di una storia, di un intreccio, di una trama. Se proprio fossi obbligato a entrare nell'odiosa spirale della nostalgia fatta dei ricordi della scuola elementare, dei giocattoli, dei cartoni animati, della musica dei miei quindici anni, preferirei farlo coi miei amici piuttosto che con un libro che utilizza lo stesso linguaggio e le stesse modalità narrative di quattro trentenni che parlano delle Tartarughe Ninja.
Pur con le dovute differenze, non è esente dai medesimi difetti nemmeno il graphic novel di esordio di Cristina Portolano. Quasi signorina (Topipittori, 2016) è il racconto dell'infanzia dell'autrice, vissuta nella Napoli degli anni Novanta nella più assoluta normalità. Non c'è nulla che sconvolge la vita della piccola Cristina se non i problemi quotidiani di qualsiasi bambino. Nulla di straordinario nella storia e nulla di sbagliato in questa scelta. Anzi, la Portolano fa di questa normalità il punto di forza del suo racconto, che scorre di anno in anno, da episodio a episodio, con una naturalezza invidiabile, ricalcando il percorso di crescita della sua protagonista per inspessire man mano i temi della sua storia.
Il problema è che questo sforzo nel mantenere una narrazione tranquilla e normalizzante, si traduce in una storia innocua a cui manca una tensione interna, una certa elettricità che sappia renderla davvero interessante. Succedono molte cose, avvengono molti cambiamenti, però sopiti da una narrazione che prevede solo azioni e mai reazioni, facendo affondare così il racconto in un placido automatismo che non si meritava.
Quasi signorina però è anche il racconto della generazione cresciuta negli anni Novanta. La Portolano non fa del facile citazionismo e il suo non è un fumetto permeato di stucchevole vintage (basti guardare ai colori). I riferimenti alla cultura pop di quel decennio non mancano, ma quello che di complesso fa la Portolano è sintetizzarne l'essenza. Tutto passa attraverso la televisione che smette di essere un elettrodomestico per trasformarsi quasi in un familiare, con la conseguenza che le persone che la abitano dismettono i panni degli idoli intoccabili, e diventano amici con cui confidarsi. Così Maradona, Barbie e le ragazze di Non è la Rai sono gli interlocutori prediletti della bambina, che non ha con loro un rapporto distante e univoco, ma un dialogo vero e proprio a volte solo mentale (come nel caso di Maradona), altre volte anche fisico (come la corrispondenza con Barbie). Il televisore è uno dei personaggi attivi del graphic novel: mentre tutti gli altri parlano, lui interviene aggiornandoli sui fatti del giorno (la strage di Capaci, la morte di Lady D, il suicidio di Kurt Cobain) oppure intrattenendoli (Drive-In, Non è la Rai, le partite del Napoli). Eppure è solo nel secondo caso che il televisore ha un dialogo vero e proprio con gli altri personaggi. I fatti di cronaca corrono e si susseguono sullo sfondo, come se non riuscissero mai a scalfire la realtà della vita dei personaggi, suggerendo anche la distanza dai fatti con cui ha convissuto per tanto tempo la nostra generazione (magia che forse si è rotta con gli scontri al G8 di Genova e con il crollo delle Torri Gemelle).
La terza protagonista di questa storia è poi la città di Napoli. È davvero emozionante come la Portolano ci mostra la città. Il suo è uno sguardo che si apre a poco a poco, che va di pari passo con la sua conoscenza della città. E così se i primi capitoli della storia vedono protagonisti dei piccoli scorci delle vie attorno a Casa Portolano e poi la visione si allarga sul quartiere, il tutto termina con una bellissima splash page dove vediamo Cristina di spalle con lo sguardo rivolto a tutta la città. Da qui in poi Cristina sembra non tanto aver trovato il suo posto nel mondo, ma un punto di vista da cui affrontare i problemi che la vita le pone davanti.
Così Quasi signorina comincia com'era iniziato: soffuso, in punta di piedi. Del lavoro grafico della Portolano rimangono impresse le espressioni del volto di Cristina (che al termine della lettura ci sembrerà di conoscere da sempre), la bicromia in un arancione e un azzurro tenui come il colore dei mobili delle case al mare e la costruzione delle tavole che si appoggia quasi sempre a un paesaggio o a un interno ammobiliato.
Sembra proprio di trovarsi a casa. Volti familiari, atmosfera tranquilla. Una cosa che ti concilia sempre con il mondo anche quando rischia di annoiarti.
Matteo Contin
@matteocontin
Immagini riprodotte per autorizzazione della casa editrice