di Vivian Lamarque
Mondadori, 2016
pp. 138
€ 19
Da casa tua si usciva sempre tutti
a mani piene. È ancora così, scendo
le scale carica della tua casa da svuotare
un grumo di sangue alla volta, nodi
alla gola, come ti piaceva farti
saccheggiare.
P.S. e ancora mi dai: poesie su poesie
mi piovono dal tuo cielo, manna
di mamma.
Torna, dopo un silenzio che è pesato ai suoi lettori, Vivian Lamarque, con una raccolta poetica in punta di piedi, tra vita e morte, speranza e dolore, lutto e ricordi vividissimi. Come recita il titolo, Madre d'inverno è un canzoniere plurimo, senza dubbio, ma nella stragrande maggioranza dei componimenti è dedicato alla madre prima malata, poi defunta. A lei la poetessa si rivolge spesso con un "tu" che sa di supplica e di affetto, e ora di entrambi. L'opera si apre con la vita d'ospedale, fino a che il calvario di dolore si stringe in un limine sempre più impercettibile tra vita e morte. Ma sono i dettagli a salvare qualche sorriso, strappato dalla routine della sofferenza.
Dopo questi brevi stralci di famiglia, si passa alla sezione "Ritratti", incentrata sul ricordo della madre e dei famigliari in una serie di quadretti più distesi, senza dubbio meno angosciati, solo a tratti intaccati dalla malinconia per il tempo passato e le occasioni che non torneranno.
Del tutto diversa, la sezione "Compro oro", dedicata alla scrittura, a colleghi-poeti e ai loro grandi e piccoli vizi condivisi, ma basta poco, veramente poco, un oggetto o una pubblicità a riportare il pensiero alla madre. Persino le pratiche post-mortem, dalla compilazione di certificati burocratici alla vendita della casa materna, non hanno niente di gretto, ma sono tutte occasioni per ritrovare il passato. Addirittura, si passa a parlare della "madre l'altra", quella che non ha pensato due volte a disfarsi di Vivian appena nata, per poi continuare a respingerla nei tentativi (infantili e adulti) di riavvicinamento. E allora si comprende il legame speciale che invece la poetessa aveva con la madre acquisita, quella che l'ha accolta in un abbraccio tanto caldo da cui è difficile separarsi. Eppure l'oblio arriva (in una sezione tutta dedicata alla dimenticanza), ma non è da vedersi come motivo di disperazione; anzi, può essere un dono:
SUL DIMENTICARE, DONO
Che sia forse un dono quella nebbia
quello smarrimento? che sbagliare
un ricordo aggiunga qualcosa
di nuovo al nostro breve
soggiorno - su questo mondo?
che una cosa creduta accaduta
aggiunga un'ora di vita
alla nostra vita?
La sezione seguente, "Dedicate", è forse l'unica un po' stridente con i toni e i temi della raccolta: non si comprende come mai questa scelta, di includere poesie extravaganti, poco affini. Forse (ma si tratta di un'ipotesi in gran parte apologetica, da lettrice affezionata a Lamarque) il filo rosso è quello degli affetti, ma anche questo non basta a giustificare l'incrinatura dell'armonia di tutta la prima parte.
Molto più a fuoco, per quanto slegata dal contingente, la sezione dedicata alla "Coinquilina poesia", dove con l'estrema semplicità di sempre Vivian Lamarque propone immagini di ingenua eppure straordinaria efficacia:
FARE UNA MARGHERITA (SCRIVERE)
Allora non è facile fare una poesia?
non basta prendere un pezzo di carta
e una matita? non è come per la terra
fare un filo d'erba, una margherita?
E qui fanno capolino di nuovo le paure, le stesse che abbiamo trovato all'inizio della raccolta e che, circolarmente, ci parlano dell'umana fatica di accettare e rassegnarsi alla fine. Eppure, come potete notare voi stessi, anche i lettori sono chiamati in causa, omaggio e quasi unica garanzia del poetare di Lamarque:
PAURA
Subito il primo giorno chiesi al mio Dottore
ma da chi potrò andare Dottore
se per caso un giorno Lei mi muore?
Lo stesso - scusate, scusate - chiedo
a voi cari lettori ora, chi mi leggerà poi
se per caso il mio Lettore muore?
Alla fine della lettura si ha subito voglia di tornare su alcuni passaggi, ritrovare citazioni (di Lamarque, ma anche di tanti illustri del passato che riporta in epigrafe all'inizio di ogni sezione) e misurarsi con la concretezza del suo verso - ora narrativo, ora introspettivo, ora descrittivo.
GMGhioni