di Winston Graham
Sonzogno, 2016
trad. italiana di Matteo Curtoni e Maura Parolini
L’anno scorso, la serie tv inglese Poldark (BBC) mi ha decisamente incantata. Sarà che ho un debole per i prodotti cinematografici con una bella fotografia, sarà che in fondo nessuno può aver mai abbastanza di period dramas: in breve, scoperto che si trattava dell’adattamento di una fortunatissima saga di dodici romanzi pubblicati nell'arco di un sessantennio, mi sono subito precipitata alla ricerca di un’edizione italiana. Ricerca destinata a magro, magrissimo successo, visto che soltanto il primo romanzo della saga di Winston Graham, Ross Poldark (uscito originariamente nel 1945), era approdato in Italia nel 1979 in una forma editoriale profondamente diversa rispetto all’originale, tagliuzzato senza troppi scrupoli in otto volumetti per trovar posto in una delle più famose collane italiche di romanzi rosa, la «Collezione intimità» della Cino Del Duca.
Tempo, però, di tirare un sospiro di sollievo. Con l’uscita di Ross Poldark in una nuova traduzione a cura di Matteo Curtoni e Maura Parolini, Sonzogno colma un significativo vuoto nella scena editoriale d’importazione, permettendo dunque al pubblico italiano di avvicinarsi a un famosissimo pezzo della letteratura di consumo britannica del Novecento nella sua forma originaria e sdoganandolo dagli stretti confini dell’editoria di genere.
La riscoperta di Sonzogno è figlia dello straordinario successo della serie con Aidan Turner ed Eleanor Tomlinson, e non c’è da lamentarsene. La famigerata prima edizione italiana, con tutti i suoi difetti, era anch’essa nata dal primo adattamento televisivo della saga (1975), che aveva stregato milioni di telespettatrici grazie al fascino di Robin Ellis. D’altronde, anche la grande popolarità della saga nel Regno Unito è profondamente legata a quell’adattamento, dopo il quale le ristampe e riedizioni sono state continue. Ma i Romanzi della Cornovaglia sono, dunque, soltanto un semplice prodotto letterario di consumo, fatto per approdare nel piccolo schermo?
Stando al giudizio degli inglesi, che li hanno avuti nelle proprie librerie per un settantennio, senza, a quanto pare, riuscire a decidersi una volta per tutte, Winston Graham, prolificissimo autore (e mi si perdoni l’astruso superlativo, ma con quaranta romanzi all’attivo è difficile non usarlo) può essere considerato, senza mezzi termini, un grande autore di romanzi storici o un bravo autore di romance. Francamente, secondo me è entrambe le cose.
Prima di tutto, i fatti. L’eroe eponimo del romanzo, il giovane ufficiale dell’esercito inglese Ross Poldark, torna sfigurato dalla guerra (letteralmente, visto che una cicatrice gli taglia in due il viso), ma lo attende una situazione sconfortante: suo padre Joshua è morto, ciò che rimane delle sue proprietà cade letteralmente a pezzi; il suo grande amore, Elizabeth, è in procinto di sposare l’inetto cugino Francis. Poldark, lungi dall’essere lo scapestrato giovin signore partito per la guerra, cerca subito di rimettere in piedi la sua vita e quella di tutti i poveri lavoratori la cui sopravvivenza è legata a quella delle sue miniere di rame. Intorno a lui, un vivacissimo gioco di caratteri – i principali: Jud e Prudie, i pigri servitori che si occupano della casa, la dolce cugina Verity, e Demelza, l’indisciplinata mendicante che Poldark accoglie in casa per fargli da domestica – tratteggia in toni freschi la Cornovaglia e il suo spirito, con una trama dal sapore piacevolmente démodé. Proprio la freschezza della narrazione fa decisamente godere di certi cliché narrativi: un protagonista tormentato dall’amore perduto, con un altro amore, più maturo, ad aspettarlo tra gli stracci dietro un angolo, con un gustoso contorno di fughe amorose, litigi familiari, affari che stentano a partire e intrighi bancari, invidie tra parenti, matrimoni improvvisati e avidi parvenu.
La saga dei Poldark può agilmente trovar posto nelle librerie di chi ha amato i grandi autori della prima stagione del romanzo inglese, come Jane Austen, oppure classici della narrativa romantica come Jane Eyre. Essa non ha però la levità delle narrazioni della Austen: è pur sempre ambientata un periodo denso di incertezze e cambiamenti, in cui la povertà è dietro l’angolo. È caratterizzata delle turbolente passioni tipiche delle ambientazioni romantiche, ma non è difficile riconoscere la sottile ironia con cui queste sono tratteggiate. Poldark, fratello minore di Mr. Darcy, Mr. Rocherster, John Thornton, è dark anche nel nome. Entra in scena con la fama tipica dell’eroe byroniano – è bello e maledetto, ribelle, gioca, beve ed è andato in guerra proprio per evitare problemi con la giustizia – ma capovolge subito tutte le aspettative dei lettori.
Il suo volto non era facile da decifrare e guardandolo nessuno sarebbe stato in grado di capire che non più di mezz'ora prima aveva subito il colpo più duro di tutta la sua vita. Adesso non fischiettava più nel vento né parlava alla sua irascibile giumenta, ma per il resto tutto sembrava come prima.Ross Poldark continua a struggersi e a essere preda di eccezionali passioni, certo, ma non ci sono vagabondaggi folli nelle brughiere in serbo per lui: piuttosto, reagisce al dolore rimboccandosi le maniche e mettendosi al lavoro. A differenza dei suoi fratelli maggiori, Ross Poldark si sporca le mani (lavorando nella miniera) e sfida le convenzioni (sposando la sua domestica). Cerca di cambiare un mondo che gli si sgretola sotto i piedi senza peccare di velleità.
Il resto, come d’altronde la vita, è delizioso, succosissimo cliché.
Laura Ingallinella
@lauraingalli
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