Rovigo, come Pordenone, concede al visitatore il vantaggio delle piccole città: quello di sentirsi subito a casa, di prendere immediato possesso degli spazi per poi potersi abbandonare al piacere degli incontri senza essere soverchiati dallo spaesamento.
Io ci arrivo alle tre di sabato pomeriggio. Dopo aver girovagato per più di un'ora attraverso piazze e strade deserte, mi presento al Teatro Duomo pochi minuti prima dell'incontro con Mauro Corona e scopro dov'erano tutti. Scopro anche un'altra cosa: l'accredito stampa, in una realtà democratica, non ti permette di saltare la coda. Non te lo permettono nemmeno i sorrisi.
[cambio scena, molto tempo dopo]
Mauro Corona al Teatro Duomo (foto di Carolina Pernigo) |
Mauro Corona entra, bandana e barba lunga, e attacca subito col primo bicchiere di rosso. Il motto del festival è "Ama quello che fai", ma lui subito lo rovescia per dirci che è necessario godere di ciò che amiamo. Il suo, ci annuncia, sarà un discorso in memoria: in memoria di Fabrizio, "Don Chisciotte del terzo millennio", amico amatissimo e mancato prematuramente; in memoria delle cose perdute, del tempo che ci sfugge di mano, della natura che roviniamo.
Non dice cose particolarmente originali, Mauro Corona, ma le dice col tono dell'affabulato-re consumato, del cantastorie che passa le sue serate davanti al fuoco a evocare mondi, e ti affascina, ti tiene sospeso fino alla fine del discorso. Quello di cui ti fa venire voglia non è tanto di comprare il suo libro, quanto di stare ad ascoltarlo per ore. Corona butta sul piatto i discorsi più impegnativi attraverso la leggerezza dell'aneddoto, snocciola autori e letteratura con la familiarità che si riserva ai vecchi compagni di gioco (incontriamo con lui, tra gli altri, Borges, Pessoa, Artaud, Whitman). Ci ricorda che noi agiamo per sfuggire all'inferno delle nostre fragilità, che siamo memoria e curiosità, e che proprio il desiderio di conoscere ciò che è stato è il principale strumento che abbiamo a disposizione per salvare il mondo. Lui stesso scrive soprattutto per questo: per far rivivere ed eternare il ricordo. Ci viene affidato dunque un importantissimo compito educativo nei confronti delle nuove generazioni: quello di abdicare al nostro credo e alle nostre convinzioni per non marchiare a fuoco l'altro, per lasciare spazio all'esperienza individuale dell'altro, perché anche le sbucciature servono per crescere. Ci viene chiesta la cosa forse più difficile tra tutte: di mettere l'amore davanti a noi stessi. Mauro Corona ti parla guardandoti negli occhi, ti racconta della libertà, della verità, dell'importanza di saper perdere e di lasciar andare. Ti ricorda soprattutto, come monito da portare con te, che la tua felicità è inversamente proporzionale al dolore che arrechi agli altri per procurartela.
Claudia Moscardelli, Zoe Pia e Federico Baccomo (foto di Carolina Pernigo) |
Esco pensosa dal teatro, non certo pronta al radicale rovesciamento di prospettive che sta per avere luogo in piazza Garibaldi. Federico Baccomo e Chiara Moscardelli presentano i loro ultimi romanzi (Woody e Penelope), accompagnati durante le letture dal clarinetto di Zoe Pia. Ancora una volta - come in quasi tutti gli incontri di questa giornata - il punto di partenza, nonché motivo conduttore, sarà l'autobiografismo, il desiderio degli scrittori di farsi conoscere ed esporsi in prima persona di fronte al loro pubblico. Chiara Moscardelli ha una loquacità trascinante e una risata sonora e un po' sguaiata che conquista subito la simpatia degli astanti. Quanto a Federico Baccomo, me ne innamoro perdutamente ancora prima che inizi a parlare. Poi parla, ed è definitivo. Racconta del percorso che l'ha portato a Woody, del desiderio di uscire da se stesso per assumere un punto di vista nuovo, più piccolo, di perenne meraviglia. Ci riporta alla comicità come desiderio di svelamento, di rovesciamento delle aspettative, di spiazzamento della nostra pigrizia mentale. Contrappone con affetto la mancanza di pudore di Chiara alla propria timidezza, facendo capire come sia proprio attraverso lo sguardo ingenuo del cane Woody che può emergere un po' del vero Federico, altrimenti mascherato sotto l'immancabile ironia. Woody, ci preannuncia, è una sorta di fiaba moderna e, si sa, le fiabe nascono per trasfigurare la brutalità del mondo e per esorcizzare i traumi della società attraverso il lieto fine. È così con una certa speranza (ma anche, lo confesso, con un po' di commozione) che mi avvio nuovamente per andare ad ascoltare Antonio Moresco ed Emanuele Tonon all'Accademia dei Concordi.
La sala è gremita, letteralmente. Con un po' di cinico sospetto, mi chiedo quanto sarebbe stata piena se Corona non avesse caldamente raccomandato questo incontro ai suoi spettatori. I due relatori non potrebbero essere più diversi: Moresco ha la facies del grande vecchio della letteratura, compassato e imperturbabile, Tonon sembra un ragazzino pur non essendolo più da un pezzo, esile e nervoso, grande dosatore di parole. La moderatrice è abile nel mettere in relazione le due opere, nel farle dialogare. L'Addio e Fervore sono due romanzi complessi, pieni di spunti. Ne esce un confronto densissimo e avvincente, che affronta tematiche cruciali per l'esistenza umana come la fede, la verità, la violenza. Nonostante la durezza dei temi e dei toni, tuttavia, le conclusioni raggiunte non sono poi così negative. Quello che emerge dal dibattito è piuttosto un inno alla speranza e all'amore, una celebrazione dell'innocenza. L'amore, ci dice Moresco, è l'elemento inesplicabile che si muove in direzioni inaspettate, che irrompe nel mondo del caos, del dolore, del male e non può essere eluso per comporre un teorema negativo. L'amore è un elemento drammatico, spiazzante, che impedisce di soccombere al nichilismo. Laddove il nichilismo esclude le forze della vita, il tragico le riscatta e le rimette in campo. La stessa prospettiva, del resto, è condivisa anche da Tonon, che pur avendo attraversato una fase di dubbio e disillusione, resta comunque saldo nella sua fede, nella sua adesione totale alla vita nel nome della carità e dell'amore per il prossimo.
All'amore, in particolare quello tra uomo e donna, è dedicato anche l'ultimo appuntamento della giornata, quello con Simona Sparaco, Stefano Piedimonte e Paolo di Paolo. Si parla di incontri e di solitudini, delle diverse proiezioni di sè che consentono la nascita di qualsiasi relazione, persino dei trucchi favorevoli alla seduzione. Il dialogo tra gli autori assume l'andamento ciarliero e spontaneo di una chiacchierata tra amici e consente al pubblico di mettersi comodi sulla sedia e di rilassarsi un po', dopo la tensione emotiva accumulata nell'ora precedente.
Si chiude così, non senza un briciolo di romanticismo, una giornata fitta di argomenti e suggestioni. Io mi posiziono su una panchina, in attesa che arrivino Brunori e Catalano per la festa grande in piazza Vittorio Emanuele II.
Carolina Pernigo
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