di Anthony Marra
Frassinelli, 2016
Traduzione di Maria Luisa Cantarelli
pp. 312
€ 19,50 (cartaceo)
Il massimo che può fare la mia professione è convertire l'immagine in ricordo, la luce in ombra, ma le pennellate che avevo cancellato si erano ridipinte dentro di me e mi ero reso conto che, prima di essere un correttore, un funzionario della propaganda, un cittadino sovietico, prima ancora di essere un uomo, io ero un prolungamento di vita dopo la morte per le immagini che avevo distrutto. (p. 28)
Salutato dal «New York Times» come un'opera che riporterà «fiducia nella potenza della narrativa», La confessione di Roman Markin parte indubbiamente da un'idea molto forte. Censore di quadri e immagini sotto il regime sovietico nel 1937, Roman Markin annerisce o mistifica volti di personaggi scomodi al partito, o migliora l'aspetto di chi è assurto al potere. In particolare, i lineamenti del fratello scomparso per questioni politiche iniziano ad ossessionare Roman: quando c'è la necessità di attribuire a un dissidente un viso, ecco che il censore inserisce quello del fratello, che continua così a vivere, invecchiare, ringiovanire a seconda dei casi. Una vera galleria di ritratti del fratello è però qualcosa di rischioso e Roman Markin corre per forza questo pericolo, conscio che le immagini - se non distrutte - continueranno a viaggiare nel corso del tempo:
Ed è un quadro in particolare, uno Zacharov, a prendere il sopravvento nel romanzo e a passare di mano in mano nel corso del Novecento e degli anni Duemila, disponibile a portare con sé i segni e i pericoli del tempo. Ed è docile nel farsi continuamente interpolare, ritoccare, da chi nel quadro sente il bisogno di inserire qualcosa di sé stesso. Non è un caso se questo sia uno dei pochi superstiti al terribile incendio che è seguito all'esplosione di una galleria prestigiosa in Cecenia, né è un caso se sul riquadro di tela bruciato l'ex vicedirettore del museo abbia dipinto due piccole figure umane che risalgono la collina:
qual è la confessione? domanda
la faccia di suo padre. devi dirgli dove può vedere che faccia aveva suo padre.
dove?
nelle opere che ho censurato. sullo sfondo. dietro stalin e lenin. dietro la loro testa, dove i loro occhi non possono trovarlo
[sic; capirete leggendo perché non ci sono maiuscole in questo passo]
Ed è un quadro in particolare, uno Zacharov, a prendere il sopravvento nel romanzo e a passare di mano in mano nel corso del Novecento e degli anni Duemila, disponibile a portare con sé i segni e i pericoli del tempo. Ed è docile nel farsi continuamente interpolare, ritoccare, da chi nel quadro sente il bisogno di inserire qualcosa di sé stesso. Non è un caso se questo sia uno dei pochi superstiti al terribile incendio che è seguito all'esplosione di una galleria prestigiosa in Cecenia, né è un caso se sul riquadro di tela bruciato l'ex vicedirettore del museo abbia dipinto due piccole figure umane che risalgono la collina:
Con tratti rapidi e decisi traccio le due sagome: il bambino ha le bravvia alzate, il corpo allungato, proteso verso la cima, le mani aperte; la donna, un passo dietro a lui, lo segue sulla salita. Mi danno la schiena. Il sole irradia l'erba e le albicocche mature piegano i rami. Nessuno li rincorre. Non stanno scappando. (p. 97)
Peccato che lo Zacharov, tanto amato dal vicedirettore per questioni personali che forse - vagamente - potete intruire, finisca nelle mani di Galina, donna di umili origini, divenuta uno dei personaggi più conosciuti del Paese. Anche la donna ha un ricordo personale da proiettare nel quadro: dicono che su una collina così, in quella zona, sia caduto in battaglia il suo primo amore...
Queste sono solo alcune delle proiezioni che si attivano sul dipinto, che non è un'inerte ècfrasi che attiva flussi di ricordi e narrazioni, ma soprattutto un testimone. E come tale attraversa il tempo, lo sfida, quasi, e gli sopravvive.
Al di là del ritmo narrativo, un po' discontinuo, e la trama che non ha sempre con lo stesso mordente, La confessione di Roman Markin ha il merito di mettere in discussione memoria storica e memoria artistica. Nel confronto - impari, specioso, e non sempre leale - tra questi due tipi di memoria, una domanda spicca e si ripete: quanto c'è di vero in un ricordo e quanto è manipolazione dei nostri desideri?
A questo quesito, si accompagnano continui voltafaccia della storia, in cui innocenza e colpevolezza assumono confini molto complessi, quasi indistinguibili. E la concezione della storia è quella manzoniana, è un gioco di equilibri di poteri, tra oppressi e oppressori. Ma non c'è alcune provvida sventura, o almeno pare. Sta a voi scoprire come Anthony Marra scelga di sciogliere l'intricato panorama che ha dipinto con cromatismi attenti ai dettagli e ai dialoghi, e con richiami interni che solo controluce e a distanza sapranno apparire.
GMGhioni