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Aspettando Mr. Bojangles sull’orlo di una delicata follia

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Aspettando Bojangles
di Olivier Bourdeaut
Neri Pozza, 2016

Traduzione di Roberto Boi

pp. 144
15€

Alcuni libri rimangono impressi nella mente principalmente per la loro storia: l’intreccio è così coinvolgente e ben costruito che il lettore segue i suoi passi anche dopo che l’ultima pagina è stata chiusa. I nomi dei personaggi e le loro esperienze, uniti ai pensieri e alle sensazioni che si sono insinuati tra le pieghe delle azioni, rimangono autonomi in ogni momento della vita dei lettori: ci si ricorda chiaramente anche dopo anni cosa dove si era, cosa si faceva e cosa si provava durante la lettura, in un percorso di cambiamento indelebile della personalità di chi ha goduti di questi momenti. Poi ci sono i libri come Aspettando Bojangles, disarmanti e potenti proprio per la loro indeterminatezza.
Non so dire, anche a distanza di pochi giorni, quali siano le scene clou o i personaggi rappresentativi della storia dell’esordiente Olivier Bourdeaut. Proprio questa levità e questa indeterminata consistenza mi hanno coinvolto in un’esperienza di lettura del tutto nuova rispetto al passato: il suo modo di procedere va allo stesso ritmo della canzone country Mister Bojangles citata nell'incipit. Non si può fare a meno di ascoltarla: ogni pagina viene girata con lo stesso ritmo melanconico ma gioioso che Nina Simone scalda con la usa voce; le note non si dimenticano e fanno da colonna sonora a una storia inusuale, quasi folle ma per questo inedita. Una famiglia come tante procede a dritto e a rovescio nell’ordinarietà della vita. Il padre chiama la moglie ogni giorno con un nome diverso, tranne il 15 febbraio, il giorno di Georgette. Il figlio cresce in una realtà da fiaba, dove è normale avere come animale domestico una gru dal nome aristocratico, Damigella Superflua, coltivare in casa piante che necessitano di un pavimento costantemente umido per poter crescere rigogliose (dentro casa, in cucina) e non frequentare la scuola per trascorrere le giornate di sole in un castello nel sud della Spagna.

Aspettando Bojangles procede senza una meta, vorticando in una danza folle e incalzante. Eppure si allude continuamente a tematiche di un'estrema delicatezza, rimaste appiccicate a questa storia calamitica ed affascinante come in una grande nuvola di zucchero filato di parole. Mi piace definire il testo una meta-autobiografia splendidamente intelligente: non solo si ha la sensazione che molti degli aneddoti narrati siano vere esperienze vissute dall’autore (perché in molti, anche estremamente folli gesti, lo stesso lettore si riconosce), ma all’interno del testo si intrecciano le parole del diario segreto del padre, figura perno di tutta la storia, al racconto in prima persona del bambino protagonista. Un vortice di individualità che ho lo scopo dì esorcizzare proprio le invitabili follie della vita quotidiana, amplificandole all’ennesima potenza e fornendone, al tempo stesso, un resoconto triplo: da parte del narratore, del padre nel suo diario e dell’autore stesso, che ha dato alle parole della sua storia il ruolo di filtro alla propria esistenza. L’assurdità che regola ogni gesto costruisce passo dopo passo un’apologia della menzogna che non viene vista come un difetto caratteriale ma come una corazza naturale che la famiglia di Aspettando Bojangles indossa per sfuggire ai pregiudizi del mondo, alle sue insidie di normalità e all’incomprensione di fronte alla felicità senza misura. Il primo a mentire è il padre, giovane millantatore che prima di conoscere l’amore della sua vita:
Avevo assaporato, assieme a un bicchiere di cognac alle mandorle, quel piacere dissennato ed egoista di monopolizzare per qualche istante l’attenzione della gente con storie solide quanto un colpo di vento.
La menzogna diventa un vero e proprio stato d’animo anche per il giovane protagonista, che nell’eccezionalità della sua vita non poteva misurarsi altrimenti con l’ordinarietà del mondo:
A casa mentivo a dritto e a scuola a rovescio, era complicato per me, ma più semplice per gli altri.
Cieli folli di @la_effesenza
Cosa è dritto e cosa è al rovescio? La relatività di questa risposta accompagna tutta la storia: nessuno ha il diritto di dire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato nella gestione della vita altrui e nel modo di vivere i sentimenti. Un insegnamento che sarebbe bene ricordare in un un’epoca di grandi pregiudizi e di dita inquisitorie puntate dall’alto di scranni falsi e ipocriti. La piacevolezza di Aspettando Bojangles si esplica nel fatto che si riesce a ridere e piangere nel giro di poche frasi. L’ironia sembra essere l’unica chiave di lettura di tutta la vita, che sia essa folle, ordinaria (forse in questo caso più che in altri) o straordinaria. Basta seguire i consigli dello Sconcio, deputato amico di famiglia e assiduo frequentatore delle folli feste gatsbiane organizzate da Georges e Georgette, per capire che l’unica via per affrontare il viaggio della propria esistenza è quella di prendersi poco sul serio:
Mio piccolo amico, nella vita esistono due categorie di persone che bisogna evitare a ogni costo. I vegetariani e i ciclisti professionisti. I primi perché un uomo che rifiuta di mangiare una bistecca è stato di sicuro un cannibale in una vita precedente. E i secondi perché un uomo con un berretto a forma di supposta che s’inguaina volontariamente lo scroto in una calzamaglia fosforescente per affrontare una lunga salita in bicicletta di certo non ha tutte le rotelle a posto.
Aspettando Bojangles non è solo una questione di rotelle a posto. Con una prosa morbida, avvolgente e spensierata pur essendo densa nei contenuti, ciò che emerge è la forza delle emozioni, di quell’amore triste e maledetto ma inevitabile, che lega prima un uomo alla sua donna sin dal primo incontro sulle note di una canzone soul:
Quella relazione sarebbe andata avanti a tentoni verso improbabili approdi. Stavo per mollare vigliaccamente… davanti a quel futuro fatto di confusione… io avevo avuto paura.  Ma poi, sulle note di un brano jazz… mi aveva tirato a sé con forza… e ci eravamo ritrovati guancia a guancia. A quel punto mi ero reso conto che mi stavo ancora ponendo domande in merito a un problema che, ahimè, era già superato… Che mi ero lanciato nella nebbia senza nemmeno rendermene conto, senza sirene, senza segnali di sorta.
e poi un bambino ai propri genitori:
A ogni modo un po’ pazza lo sono sempre stata, e anche se lo divento un po’ di più o un po’ di meno questo non cambierà l’amore che voi avete nei miei confronti, dico bene?

Federica Privitera