Il ruolo strategico del saper fare italiano
a cura di Maurizio Dallocchio
con Alessandra Ricci e Matteo Vizzaccaro
Marsilio, 2016
pp. 156
Euro 16,00
Sarà certamente capitato anche a voi, durante una passeggiata di esplorazione turistica o più semplicemente girando l’angolo della via sotto casa, di imbattervi in una bottega d’arte italiana e di rimanere incantati di fronte alla perfezione dei singoli manufatti esposti, pezzi unici realizzati con amore e perizia da sapienti artigiani. Se siete stati fortunati, magari avrete anche visto il titolare o un suo operaio al lavoro, impegnato ad accordare un liuto o intrecciare un cesto, a cucire un’asola o cesellare un bottone. E forse, se in cuor vostro vi siete scoraggiati nell’apprendere il prezzo troppo “importante” dell’oggetto dei vostri desideri, vi avrà rassicurato che il villeggiante straniero lì presente abbia invece concluso l’acquisto, fiero di portare via con sé – nelle Americhe o in Australia, in Estremo Oriente o “solo” nella più vicina Scandinavia – uno o più prodotti simbolo della maestria manifatturiera della Penisola. Se l’artigianato di pregio vi appassiona, o se siete semplicemente curiosi di conoscerne lo stato di salute, anche e soprattutto dal punto di vista economico e commerciale, troverete allora interessante la lettura di Costruttori di valore. Il ruolo strategico del saper fare italiano, appena edito da Marsilio nella collana Ricerche e curato da Maurizio Dallocchio, Alessandra Ricci e Matteo Vizzaccaro.
Lo studio, voluto dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte e sostenuto dalla Vacheron Constantin – la manifattura svizzera di alta orologeria più antica al mondo, con 260 anni di storia alle spalle – è stato portato avanti dal CDR Claudio Demattè Research della SDA Bocconi School of Menagement, nel tentativo di tracciare un quadro dell’attuale sistema delle imprese artigianali d’eccellenza. Nel luglio del 2014, 118 Piccole e Medie Imprese italiane hanno accettato di rispondere a un questionario mirato a comprendere il ruolo delle stesse PMI nella valorizzazione del territorio, ovvero in che misura il cosiddetto saper fare italiano possa contribuire al rilancio dell’economia (lo stesso formulario è riportato integralmente in appendice, insieme con i contatti delle aziende partecipanti). I dati ricavati, esposti anche con l’ausilio di grafici e tabelle, confermano la tenacia di un settore per descrivere il quale, nel commento delle percentuali, viene più volte utilizzata una parola divenuta recentemente di moda, eppure quanto mai calzante in questa sede: resilienza. Una capacità di resistenza alle avversità e di adattamento positivo alle mutazioni del contesto che pare animata in prima istanza da un amore innato per il bello, inteso come fecondo connubio di tradizione, innovazione, mestiere e creatività: il famoso made in Italy nella sua forma migliore, ben progettata, ben eseguita e ben proposta sul mercato.
Quella relativa al “saper fare italiano”, del resto, è una varietà che non può non incuriosire e inorgoglire: dall’abbigliamento alle calzature passando per gli accessori, con maestri d’arte specializzati ora in camicie ora in guanti o in cravatte (…e addirittura in piume!); dalle maestranze del cuoio e della pelle a quelle dell’argenteria e dell’oreficeria; e ancora pipe, orologi, ombrelli, coltelli e gioielli, senza dimenticare le possibili declinazioni dei manufatti lignei, che vanno dall’ebanisteria in senso stretto alla produzione di botti e biliardi; e ancora molta, moltissima ceramica – il settore con maggiori esponenti in sede d’analisi – a cui si aggiungono l’arte della porcellana, del mosaico e del vetro; e poi i merletti e i ricami, i profumi e i liquori; e infine, non ultima, la lavorazione della carta, con la presenza significativa di stamperie e legatorie di pregio.
La ricerca, tuttavia, insieme con le problematiche inedite e le nuove sfide che si presentano all’artigianato d’eccellenza anche e soprattutto a causa delle crisi economica attualmente in corso, non manca di rilevare gli aspetti ontologicamente più critici del settore, che si conferma «un mondo potente e fragile», per usare le parole di Alberto Cavalli, Direttore della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. Tra i molti: il ricambio generazionale; la promozione e la vendita on line dei prodotti; il rapporto con l’esportazione fuori dall’Italia; l’influenza sensibile e positiva sui flussi turistici; la contraffazione e l’esistenza o meno di forme di tutela DOP, DOC e DOCG; non ultima, la disponibilità e la fiducia nella creazione di una rete virtuosa con altri soggetti operanti nel medesimo business. Proprio da questo punto di vista sembra voler essere di buon auspicio l’immagine scelta per la copertina, ovvero il particolare del tavolo Kyoto del maestro ebanista Pierluigi Ghianda, realizzato con 1705 incastri e senza alcun chiodo, esempio perfetto di «rigore geometrico e perfezione esecutiva»: una bella metafora visiva oltre che un invito a fare propria la lezione del “poeta del legno” scomparso nel 2015, che fu, tra le altre cose, anche uno storico e convinto sostenitore del possibile e felice dialogo tra artigianato puro e dinamiche più prettamente industriali.
Cecilia Mariani