a cura di Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari
Laterza, 2016 (prima edizione 1997)
pp. 738
54,00 euro
Ci sono libri che tutti noi dovremmo avere nella nostra biblioteca personale, per poterli leggere e consultare all’infinito. Uno di questi è il vocabolario, per esempio. Un buon vocabolario, s’intende, da sfogliare magari a cadenza quotidiana, per concederci il lusso necessario di imparare un nuovo lemma, ripassare un’etimologia o correggere una declinazione d’uso. Lo stesso si dica per le collane enciclopediche, per i manuali di ogni disciplina e per le ambiziose trattazioni storiche che portano in sé i germi inestirpabili della parzialità e della provvisorietà. Tutti libri che, per la loro ontologica incompletezza, non potranno che comportare la lettura di altri testi, in un circolo vizioso e virtuoso allo stesso tempo. Qualcuno obietterà che questa sia la sorte di ogni valida pubblicazione. Di certo è il caso della Storia dell’alimentazione curata da Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari, edita per la prima volta nel 1997 nella collana Grandi Opere dalla casa editrice Laterza.
Sarebbe forse ingenuo pensare che l’ultima ristampa di questo grande lavoro collettivo non risenta dell’attuale clima culturale, così sensibile alla tematica del cibo e alla sua vastissima area semantica. E tuttavia sarebbe ingiusto negare il carattere della necessità a questo poderoso volume (si va oltre le 700 pagine) che raccoglie i contributi di decine di studiosi europei chiamati a tracciare un quadro il più possibile esaustivo delle caratteristiche e delle evoluzioni (ma anche involuzioni) dell’alimentazione umana, dalle origini fino alla recente contemporaneità. Un’impresa colossale sotto tutti i punti di vista, poiché la nutrizione, per la sua capacità di chiamare in causa molteplici elementi naturali e culturali, oltre che per il suo aspetto meramente necessario alla sopravvivenza, ha accompagnato e continuerà ad accompagnare in eterno gli esseri umani. Questa storia, queste storie, ci riguardano semplicemente perché senza i progressi succedutisi nei millenni e nei secoli, e senza la loro conoscenza e il loro studio, non solo non esisteremmo, ma saremmo anche molto più ignoranti circa noi stessi.
Organizzato in base a un criterio cronologico che va dalla preistoria e dalle prime civiltà fino a quella che viene definita la «macdonaldizzazione» dei costumi, e variegato da un approccio tematico e vivacemente multidisciplinare, il volume si presta altrettanto bene sia a una lettura episodica atta a soddisfare interessi e curiosità estemporanee, sia a una consultazione più prettamente scientifica; questo anche in virtù degli apparati e della ricca bibliografia sempre presente in coda ai singoli saggi. Inoltre, pur nella grande varietà degli stili e dei toni – le firme degli autori, del resto, sono ben quarantacinque, con dieci traduttori coinvolti – una certa omogeneità d’insieme sostiene l’intera raccolta che, se non scade mai nelle semplificazioni della mera divulgazione, nemmeno corre il rischio di inibire il lettore non addetto ai lavori. Resta il fatto che l’Europa la fa da padrone rispetto agli altri Continenti, e che la trattazione manca di un aggiornamento relativo agli ultimi due decenni, importantissimi specie per quanto riguarda il profondo sdoganamento culturale del tema e la sua metamorfosi in vero e proprio fenomeno di moda e di costume. Queste ultime, peraltro, sono forse le uniche vere pecche di un testo che ancora oggi conferma comunque il suo valore di riferimento, sia per gli studiosi di settore, sia per i semplici curiosi.
In modo solo apparentemente paradossale, la Storia dell’alimentazione curata da Flandrin e Montanari è un testo da offrire in pasto proprio a coloro che, nonostante tutto, ancora non esitano a dichiararsi diffidenti circa la rilevanza dell’argomento, magari perché stufi della sua pervasività mediatica, impegnati a smaltire la pesante sbornia della recente EXPO, oppure semplicemente persuasi che ci siano questioni ben più appassionanti alle quali dedicare le proprie energie di lettori. Proprio loro rappresentano, oggi, il pubblico ideale, quello non ancora convinto che l’importanza del cibo e di ogni discorso ad esso relativo possa andare sia al di là dei più elementari bisogni di sussistenza, sia oltre le più becere e utilitaristiche spettacolarizzazioni. Anche la mole, pur importante, non dovrà scoraggiare gli scettici: per usare una metafora mangereccia, si potranno benissimo avvicinare ad essa con la stessa curiosità con quale nel corso di un buffet si affronta, sandwich dopo sandwich, la torre farcita di un panettone gastronomico. Avrà poca importanza partire dall’alto o dal basso: basta che non dimentichino, al momento dell’assaggio, che si tratta appena di un antipasto.
Cecilia Mariani
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