di Stefano Bartezzaghi
UTET, 2016
pp. 210
€ 14 (cartaceo)
La nostra realtà ora assomiglia più a una ludoteca di Babele, in cui la cultura di massa ha instaurato a tutti i livelli un regime di semiserio che impone di riformulare non solo i rapporti fra gioco e realtà ma le loro stesse definizioni. (p. 88)
Non c'è alcuna testarda critica del presente, nel nuovo saggio di Stefano Bartezzaghi dedicato al gioco: di certo la critica c'è, ma questa nasce dall'osservazione, dalla sperimentazione e dallo studio di tanta letteratura dedicata al gioco. Ormai il confine - un tempo ben definito per tempistiche, spazi, modalità - tra gioco e realtà è completamente sovvertito, a costo di cadere in un apparente paradosso:
Il gioco come ciò che mette fra virgolette tutto ciò che gioco non è. Naturalmente è un po' strano: è il gioco che simula, è lui che dovrebbe andare fra virgolette. Eppure quando parliamo di gioco fra le virgolette ci va la "realtà". (p. 94)
In "realtà", appunto, il paradosso non c'è: è la nostra contamporaneità a vivere di tempi ritagliati, in cui ormai il gioco la fa da padrone («Il gioco è [...] cambiato in questo: non è più (se lo è mai stato) un mondo rigidamente separato da quello reale, ma vi si insinua», p. 35).
Tutta la prima parte del saggio muove dal presente, raccontato con ironia e un dettato veramente piacevole e discorsivo, e questo è un ottimo escamotage per far sentire il lettore a proprio agio. Ma, lettori, tenetevi forte! La seconda parte è un rocambolesco viaggio nel mondo del gioco e nella sua teorizzazione, attraverso rimandi puntuali ai saggi di Caillois, Dossena e Huizinga, tra i principali studiosi di questo "nutrimento", considerato tra i bisogni fondamentali dell'uomo. Allora si scoprirà che il gioco mette in pratica, in un ambiente ben delimitato e protetto, alcuni degli impulsi primari, dal senso di competizione (che è anche alla base dello sport) alla sfida continua del destino (e così si può anche spiegare il gioco d'azzardo), o alla creazione di universi illusori (la letteratura non fa un po' questo?), o il bisogno di provare un senso di vertigine (come sulle montagne russe). Questo è solo un esempio (e si perdoni l'imprecisione della sintesi) di uno dei punti trattati: infatti, tutta la seconda parte del saggio si distingue per densità e ricchezza. Ma non si creda che questo renda ostica la lettura: anzi! Semmai un rischio c'è, ed è quello di correre in libreria o su uno store online a prenotare i libri citati e commentati da Bartezzaghi. Perché anche in questo caso La ludoteca di Babele non sceglie la via compilativa, ma tratta, ridiscute e attualizza principi ben presenti nella bibliografia (peraltro segnalata con precisione anche alla fine del volume).
Si passa così dalla trattazione teorica a ciò che vediamo e viviamo in prima persona ogni giorno. Un esempio? Il mondo dei videogiochi (sempre più intesi «come una macchina che dà la possibilità di entrare in una narrazione», p. 44), il loro utilizzo nel mondo del terrorismo, come preparazione di strategie rovinose; o particolari dipendenze, che rendono ad esempio sempre vincenti i social network, una sorta di "metagioco" che ci porta a misurarci giornalmente con emoticon e altri mezzi per portare la giocosità nella scrittura.
Un punto di vista personale, sensato, illuminante, provocatorio a tratti: La ludoteca di Babele si affermerà fin da subito come un saggio intelligente e accattivante per aprire gli occhi su questa dimensione del gioco, «luogo dell'assoluto circoscritto», che si compenetra sempre più nella realtà «luogo del relativo non circoscritto».
GMGhioni
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