Oliver e altri migranti
di Sergio Russo, Corrado Castiglione
GoWare editore, 2016
pp. 102
9.99 €
Un lungo racconto da leggere accanto al fuoco, da bere in poche lunghe sorsate come un calice di robusto vino rosso: sembra quasi di poter scorgere Edoardo, il narratore di cui Russo e Castiglione vestono i panni, seduto dinnanzi a noi mentre con tono confidenziale e non privo di ironia ci narra del rapporto di amicizia che lo lega a Gigi e degli altri affetti che corrono a esso paralleli.
I due uomini hanno da poco superato la mezza età: entrambi originari del capoluogo campano, hanno avuto in sorte due differenti destini. Edoardo ha potuto metter radici nella città che gli ha regalato i natali, ignorando testardamente l'insistente e altisonante richiamo del Nord della penisola, foriero di promesse e di futuri più facilmente realizzabili. Gigi si è invece fatto traghettare altrove, in giro per lo stivale, dai capricci di un'incostante fortuna, lì dove le circostanze gli riservavano una possibilità lavorativa. Ridotto a uomo dall'eterno presente, costui appare, nel corso dei suoi numerosi spostamenti, alienarsi dal concetto di appartenenza alla terra d'origine per divenire malinconico simbolo del precariato italiano. Di trasloco in trasloco il suo bagaglio si alleggerisce, la difficoltà nell'apprendere per l'ennesima volta nuovi toponimi aumenta e persino gli amori diventano più fragili, effimeri, quasi invisibili, pensati sin dall'inizio per non durare.In poche parole egli è “terrone e migrante” proprio come l'amatissimo cane Oliver, con cui condivide le proprie frugali abitudini nella casetta di campagna al Salto, nell'umida e verdissima regione lombarda della Lomellina. L'abitazione rappresenta per Gigi il rifugio che ha sempre desiderato, ultima tappa di un lungo percorso; essa possiede le due agognate finestre affacciate sul silenzio e sulla pace campestri: “una fatta apposta per lasciar penetrare i ricordi, ma solo quelli belli e le immagini dei giorni felici”, l'altra “per pensare, dischiusa verso il futuro” e un grande tavolo al centro, “il tavolo dove ha sempre sognato di sedersi una notte d’estate con le dita intrecciate dietro la nuca ad aspettare tutte le persone care, comprese quelle che non ci sono più e quelle che ancora devono nascere.”
Ed è da qui che si snoda il racconto di Edoardo, ospite dell'amico per qualche giorno insieme al suo primogenito Giorgio – scherzosamente soprannominato ReGiorgio – studente di ingegneria elettronica giunto in Lombardia per iscriversi al corso di laurea specialistica al prestigioso Politecnico di Milano. Durante quei giorni sereni gli ospiti hanno modo di apprendere attraverso le parole del padrone di casa la complicata storia di Oliver, cane tracagnotto, lontano parente di un labrador retriever, con alle spalle una vita di stenti e di abbandoni, ma anche di presenze salvifiche come quella del medico, fautore dell'incontro tra il quattrozampe e Gigi.
Ma a riempire le pagine di “Oliver e altri migranti” si affaccia una molteplicità di considerazioni: sulla distanza generazionale che rende la figura di ReGiorgio impenetrabile agli occhi del padre, sulla nostalgia verso quei progetti giovanili lasciati morire poco dopo la loro comparsa, su un settentrione così diverso, tuttora percepito come presunta terra dell'abbondanza e delle opportunità, in cui se i desideri non si traducono in realtà quantomeno è possibile accarezzarli nel loro status intermedio di sogni.
“Oliver e altri migranti” è soprattutto questo, una riflessione che riguarda tutti coloro che si sono trovati, e ancora si trovano, a dover abbandonare la loro terra d'origine nel tentativo di piantare i semi di un più attraente futuro. Su quel divario, ancora impressionante, che non riesce a ricucire gli estremi geografici, culturali ed economici del nostro Paese e che spesso ha, come sua conseguenza, una incidentale perdita dell'identità. O, perlomeno, un radicale mutamento di questa: Gigi tornerà alla sua terra natia come Nicandro, colui che vince, che decide autonomamente di recarsi al punto di partenza portando con sé il bagaglio di esperienze che lo hanno reso un migrante e che lo caratterizzano come individuo intimamente diverso da colui che da lì era partito.
Nonostante lo stile colloquiale risenta in alcuni passaggi di una certa ridondanza e, nella prima parte del romanzo, le strutture sintattiche troppo aderenti alle forme del parlato rendano la lettura non sempre scorrevole, vale la pena arrivare in fondo al volumetto per gustare, ad esempio, quelle memorabili e ritmate pagine in cui Russo e Castiglione danno il meglio di sé nel descrivere la corsa forsennata dei due protagonisti attraverso una caotica e affollata Napoli per portare a compimento un improbabile salvataggio. Altrettanto degno di nota è il commovente, surreale epilogo, la cui plausibilità funziona in virtù di quell'intenso e garbato lirismo che accompagnerà il lettore fino alle ultime vibranti righe.
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