Pochi mesi fa La Nave di Teseo ha pubblicato un libro che raccoglie l’importante eredità culturale di Celati e Ghirri, di Zavattini, di Antonioni e di tutti gli artisti e intellettuali che della Pianura hanno fatto il cuore della loro poetica.
Anime Galleggianti è infatti il resoconto del viaggio compiuto da Vasco Brondi e Massimo Zamboni lungo il Tartaro - Canalbianco, una via fluviale che da Governolo arriva fino all’Adriatico attraversando la zona del Polesine. In ogni pagina si percepisce distintamente l’amore per una terra dalla bellezza malinconica, dove il tempo sembra sospeso in un’atmosfera surreale e immobile.
Scrive Zamboni:
Una definizione della felicità in cui mi sono sempre riconosciuto l’ho trovata in Fondamenta degli Incurabili, di Iosif Brodskij. Una visione individualista, se vogliamo, ma illuminante: “Felicità è quando incontri degli elementi di cui tu stesso sei fatto e che si trovano allo stato libero”. Devo avere alluminio sparso in corpo, temperatura nebbiosa e una percentuale della disponibilità della famiglia Reggiani, perché quello che trovo allo stato libero in questa aria che precede la partenza sento che mi somiglia e mi fa gioire. So di essere silenzioso come questo canale, e le correnti che mi animano hanno poco impeto, ma non sono arrestabili. L’incontro con queste similitudini mi alleggerisce profondamente.
Le riflessioni degli autori sono affidate a due capitoli – Acqua Sorgiva e Autunno sul Tartaro – separati da una raccolta di fotografie scattate da Piergiorgio Casotti, complemento visivo degli scenari naturali e quotidiani evocati con la narrazione. Ad arricchire ulteriormente i contenuti si inseriscono i riferimenti al mondo del cinema, della fotografia e della letteratura, raccolti in chiusura di volume nella sezione Ci hanno accompagnato in questo viaggio.
Le citazioni che seguono sono tratte da Acqua Sorgiva, di Vasco Brondi:
Sento chiaramente il ritmo delle nostre vite che rallenta, per sincronizzarsi con quello della vita che c’è qui. Per sincronizzarsi al vento leggero sui canneti, all’attesa dei pescatori, alla concentrazione degli aironi, alle nuvole immobili.
Penso a chi scherzosamente dal Comune ci ha chiesto se siamo davvero sicuri di voler percorrere quel canale e non il Mincio che è molto più bello. Penso a Massimo che era felice del fatto che dal canale non avremmo visto niente perché in molti punti gli argini sono alti, ma che comunque avremmo sentito il rumore delle macchine passare, lo diceva come fosse una cosa splendida.
Cominciamo a incontrare dei pescatori sulle rive, sono lì immobili, spesso con tre canne da pesca piantate per terra, e non fanno niente, stanno lì ad aspettare. Pescare sembra una giustificazione al non fare, essere solamente.
Mi viene in mente una cosa letta qualche giorno fa: gli indiani dicevano che quando l’uomo modifica la natura poi Dio da lì se ne va. Invece sembra che una strana entità sia rimasta solo qui, lontana dalle industrie, dalle file di macchine, dal terzo settore. Qui dove non prende Internet. Pier si accorge subito che è una luce difficile da fotografare, cade dappertutto serena e uniforme e impietosamente scopre tutto. Tutto è così com’è.
Guardandomi attorno mi assalgono le visioni di Ghirri, le sue fotografie e tutti i suoi scritti altrettanto stupendi e quasi sconosciuti. Penso sia anche ingiusto, con tutto quello che ha fotografato, immaginarmelo sempre qui, intrappolato su questa pianura.
Volevamo raccontare com’è la pianura in questo momento storico con amore e senza pietà, com’è cambiato il paesaggio. Navigare in una pianura etnica tra l’Emilia, il Veneto e la Lombardia. Un’esperienza senza la mediazione degli schermi o delle pagine, esserci dentro. Percorrere una regione che non esiste e che si chiama Polesine. Una pianura dove la vita costa pochissimo rispetto si grandi centri. Una pianura che non si può più rappresentare come prima. C’è la Lega. C’è la mafia. La qualità della vita è comunque migliore che altrove. L’aria spesso è respirabile anche se umidissima. I circoli anziani sono gli ultimi al mondo e gli unici ad andare in bicicletta fuori dai centri storici sono gli africani.
Proseguiamo tra agricolture, architetture e centri abitati. Tutto è orizzontale e per un attimo questo canale mi sembra il corridoio di una cattedrale, uno spazio sacro e silenzioso. Come entrare in una chiesa, essere avvolti dalla sua atmosfera quando fuori c’è la folla di una città turistica o indaffarata. Abbiamo dei quaderni sui quali prendere appunti, anche se non succede niente. “È strano che nei viaggi marittimi, dove non c’è nulla da vedere se non cielo e mare, gli uomini tengano diari; ma nei viaggi terrestri, dove c’è più da osservare, per lo più omettano di tenerne”, scriveva Bacone quattrocento anni fa.
Finalmente scesi in acqua entriamo di nuovo in un’altra dimensione, anche se andiamo lentissimi sembra che qui niente ci possa raggiungere.
Ci rendiamo conto che la pianura contemporanea qui bisogna immaginarsela, da qui è un’astrazione. Le trenta pagine di politica interna qui non arrivano, non arrivano neanche le altre trenta di attualità e di certo qui non si scrivono. Non si fanno corsi di sociologia. Sembra così da sempre e sembra esattamente così almeno dagli ultimi trenta o quarant’anni, solo il legno è stato sostituito dalla plastica o dall’alluminio.
Penso alla fortuna che ho avuto di crescere in un posto in cui mi annoiavo moltissimo, l’importanza di crescere in un posto in cui non succede niente, in cui capisci che se vuoi che succeda qualcosa devi farlo tu. Benjamin diceva che la noia è la soglia delle grandi cose e Zelo ne sembra l’emblema.
In uno dei suoi documentari, forse Visioni di case che crollano, Celati entra in un bar qualsiasi con due sedie fuori, di un’umiltà che stringe il cuore, e dice: Ah, come si sta bene. parla dell’edilizia geometrile di questi posti, case progettate dai geometri e non dagli architetti che senza volere hanno creato uno stile perfetto per questo paesaggio.
Camminando per il paese vengono in mente i cortometraggi di Florestano Vancini girati da queste parti. L’esasperata attesa della bonifica. Le scritte con la vernice sulla facciata delle case, VOGLIAMO LA BONIFICA. Il dottore che arriva in macchina e sembra arrivare da un altro mondo. CREDITO SI FARA’ QUANDO QUESTA VALLE SI PROSCIUGHERA’ scritto su un cartello alle spalle del bottegaio. Gli uomini seduti in osteria tutto il giorno senza ordinare niente. I ragazzi appoggiati di schiena alle case della via principale, come ho visto a L’Avana qualche anno fa, a non fare niente perché non c’è niente da fare, c’è solo da esistere.
E Ghirri scrive che Zavattini scrive che la malinconia è originaria del Po, che altrove si tratta di imitazioni.
Ripariamo che non si è ancora alzata la nebbia e tra la nebbia intravediamo un altro pescatore e una casa di legno galleggiante e adesso torniamo a casa. Ci vorranno due giorni interi di viaggio, gli stessi che ci si mette per arrivare in Australia o alle Hawaii. Con i pescatori che tireranno velocemente indietro i loro galleggianti quando ci vedranno arrivare. Ripassando davanti alle postazioni dei pescatori ritagliate tra la vegetazione fitta, sedie di plastica con ombrelloni che ci sembreranno troni aborigeni vuoti in questi giorni infrasettimanali. Vedremo finalmente anche un cacciatore d’anime pescare qualcosa con il bilancino, gli faremo i complimenti e lui con modestia e senza avere molta voglia di parlare ci dirà Non succede mica ogni volta, ci vuole un po’ di fortuna. Per il freddo mi metto in piedi dietro Pier che sta guidando, per farmi tagliare l’aria e guardo indietro la scia che lasciamo e con il rumore del motore lì vicino che copre la mia voce mi metto a cantare.
Edizione di riferimento: Brondi, V. e Zamboni, M. (2016), Anime galleggianti - Dalla pianura al mare tagliando per i campi, La Nave di Teseo, Milano.