In viaggio con Albert – Storia semiseria di un uomo, una donna e il loro alligatore
di Homer Hickam
Harper Collins, 2016
pp. 331
€ 16
Se stai per leggere un romanzo che ha per protagonista un alligatore, se stai per immergerti in una storia che ruota attorno a questo animale, non puoi non pensare Il più felice dei miliardari, film Disney del 1967.
E sì, ad un’attenta lettura quelli erano coccodrilli, la trama è differente e così anche tante altre divergenze che forse rendono incomparabili le storie. Eppure quanta familiarità nel vedere disegnato un animale a sangue freddo come un amico, un compagno con cui condividere la quotidianità.
Poi ricordi qualche cartone animato, Swamplandia (se hai avuto la fortuna di leggerlo), e questa specie di dinosauro arrivato sino a noi acquisisce le forme di un’inconscia icona contemporanea.
Impossibile da tenere in casa, eppure tanto simile al nostro cane, al gatto che sonnecchia sul divano; insieme assurda presenza e rassicurante compagnia.
Non stupisce che il carattere dell’intera narrazione rimanga quello scherzoso e divertito di un romanzo che non può imporsi che come rivisitazione sistematica della realtà.
Hickam ha sempre utilizzato la sua esperienza e i ricordi, l’autobiografia come chiave di lettura privilegiata, e qui non smentisce il suo approccio personale alla letteratura, regalandoci un misto di realismo e finzione che si perde nei meandri della fantasia.
La storia dei genitori, intenti a portare l’alligatore della donna dalla Virginia sino in Florida, fa da sfondo ad una fotografia dai colori saturi che ha in sé i sentimenti incantati dell’infanzia e allo stesso tempo la stravaganza di un allucinato trip.
Per la strada, come la migliore letteratura americana ci racconta, si trova tutto quello che serve; si trovano i più disparati personaggi – perché di persone non si tratta – e si ritrova se stessi.
Non stupisce che sia stato paragonato a Big Fish, e anche, ad un occhio attento, allineato (seppur leggendovi una minor forza) con le poetiche di Karen Russell e Aimee Bender.
Si passa il tempo scorrendo le pagine senza pensare che esista altro oltre quelle parole.
Tra fiaba e allegoria, viaggio con i compagni sbagliati e figure che non hanno mai i contorni delineati, il romanzo è prima di ogni altra cosa un requiem all’amore.
Albert come metafora di un amore che non potrà mai essere sostituito e dimenticato, tanto da attaccare fisicamente il marito, diventa il simbolo concreto di una malinconia difficile da dimenticare.
E se si pensa, inizialmente, che la lettura sia facile, che sulla spiaggia queste sia vicende che è possibile alternare ad un bagno e una bibita fredda, è una scelta perfetta.
Rimane, però, vero che il senso di tristezza e abbandono non lascia mai completamente la scena alla spensieratezza; per quanto sia divertente e divertito, In viaggio con Albert rimane la memoria del definitivo abbandono del sogno di una vita felice.
Homer Hickam ci accompagna in prima persona in un memoir che egli stesso definisce somewhat true, e che ricorda l’amarezza di un passato sempre presente e costantemente pulsante, un passato che lascia cicatrici, a cui sembra possibile avvicinarsi solo utilizzando la rimodulazione e la fantasia.
Già dalle prime pagine avevamo capito tutto, già quando Elsie sposta lo sguardo sul suo adorato animale. E lì è tutto racchiuso: l’angoscia della perdita, e l’affetto spassionato.
Quando Elsie uscì in giardino per capire perché suo marito la stava chiamando a gran voce, vide Albert sdraiato sulla schiena in mezzo al prato, con le zampe spalancate e la testa rovesciata all’indietro. Era sicura che gli fosse successo qualcosa di tremendo, ma quando l’alligatore alzò la testa e sorrise capì che era tutto a posto. Provò un senso di sollievo quasi palpabile e inebriante. In fondo, voleva bene ad Albert più che a ogni altra cosa, si piegò sulle ginocchia e gli grattò la pancia, mentre lui dimenava le zampe per la gioia e sorrideva deliziato. (p.17)
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