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#CriticaNera - Se l'assassino ha dodici anni: "Tre giorni e una vita" di Pierre Lemaitre

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Tre giorni e una vita
di Pierre Lemaitre
Mondadori, 2016

Traduzione italiana di Stefania Ricciardi

pp. 226
€ 15,30

L'ambientazione silvestre dei passatempi dei bambini; Beauval, “una cittadina in cui i figli somigliano ai genitori e aspettando di prendere il loro posto”, paese di provincia quasi sospeso nel tempo; la fabbrica di giocattoli di legno minacciata dall'avvento delle Playstation: i toni da fiaba del primo capitolo di Tre giorni e una vita si presterebbero benissimo ad una voce fuori campo tipica di certe commedie francesi trasognate, come Il favoloso mondo di Amélie. Ma non bisogna farsi ingannare: Lemaitre è lo stesso autore della trilogia noir col commissario Camille Verhœven e presto arriva una mazzata diretta al lettore. D'altronde, a ben vedere, già l'incipit del romanzo aveva anticipato qualcosa:

Alla fine di dicembre del 1999, una seria singolare di fatti tragici si abbatté su Beauval, il più terribile dei quali fu sicuramente la scomparsa del piccolo Rémi Desmedt. In questa regione fitta di foreste, soggetta a ritmi lenti, l'improvvisa sparizione di quel bambino fece scalpore e venne persino considerata da molte persone del posto come il segno premonitore di catastrofi future.
Antoine, un ragazzino piuttosto solitario, in un impeto folle di violenza uccide l'amico Rémy, che di tanto in tanto lo seguiva nel bosco. Ed eccoci catapultati in uno scenario destabilizzante: la morte di un bambino è truce, ingiusta, ma come ci si comporta di fronte ad un assassino di dodici anni?
L'indagine, lo smarrimento dei genitori, i vicini che affollano la casa delle vittime, le ricerche... tutti questi elementi classici sono filtrati dalla centralità data ad Antoine che, da dodicenne qual è, vive quelle incredibili esperienze con una carica d'ingenuità e fantasia, costruendo nella sua mente tremendi scenari successivi alla scoperta del delitto, con un immaginario vivace dettatogli non dall'esperienza ma da quello che può figurarsi un bambino. Questo suo fantasticare, spesso angosciato, è tratto peculiare della narrazione e ritorna più volte man mano che agli occhi del protagonista, per usare un'espressione che sicuramente potrebbe affiorargli dalla bocca vista la natura stereotipata delle sue elucubrazioni, “il cerchio si stringe”. Tutto ciò, unito alla tenera età, ne fanno un colpevole anomalo. E' solo la persistenza con cui cerca di farla franca, anche quando sarà ormai diventato adulto, a rendercelo meno simpatico o addirittura odioso: col tempo Antoine rivelerà infatti (anche grazie ad un espediente narrativo forse non originalissimo) un temperamento simile agli ambigui personaggi di Herman Koch, senza però raggiungerne gli esiti estremi.

Anche se tutti agivano per una buona causa, nell'aria aleggiava una sorta di spirito di conquista e di vendetta, quell'energia virtuosa spesso all'origine dei linciaggi e delle persecuzioni.
Sebbene siano presenti anche stilemi canonici come i sospettati della polizia che diventano subito colpevoli e la piccola comunità che si stringe attorno alla famiglia, tra voglia di aiutare, rabbia e curiosità pettegola, essi non sono centrali nel romanzo (come invece lo sono, ad esempio, ne La ragazza della nebbia di Donato Carrisi), che si concentra maggiormente sui moti interiori di Antoine: angoscia, senso di colpa ma anche voglia di salvarsi, di non venire scoperto, bagliori infantili e tremori adolescenziali. Il punto di vista centrale è il suo, ma il narratore non coincide perfettamente con lo sguardo del protagonista, sia perché talvolta indulge su altri personaggi sia perché utilizza espressioni e fornisce informazioni che difficilmente un bambino di quell'età potrebbe avere. Dal punto di vista stilistico ritorna, anche se in dosi minori rispetto alla trilogia noir, l'ingresso del discorso diretto nella narrazione in terza persona, che ravviva le descrizioni, sempre eleganti.

Il delitto di Beauval avrebbe esorcizzato le velleità di violenza di un popolo intero, che si sarebbe compiaciuto nel far ricadere la colpa sulla responsabilità di un singolo, per la soddisfazione di vedere punito qualcuno per un'azione che chiunque sarebbe stato capace di compiere.
Arriviamo al 2011: quell'omicidio è solo un debole ricordo nella mente degli abitanti della cittadina, ma il terrore d'esser scoperto non ha mai abbandonato del tutto Antoine; i fantasmi lo minacciano al ritorno in paese, dove ritroverà i suoi amici, invecchiati come lui. È in questa seconda parte, nella scena in cui Antoine ed Émilie fanno l'amore, che abbiamo forse l'esempio più alto della capacità di Lemaitre di evocare pensieri e sensazioni dei protagonisti, con una descrizione dolce-amara di grande maestria.

Quella che era iniziata come fiaba noir nella seconda parte, forse per la maggiore vicinanza temporale al nostro presente, assume toni più realistici, che si accompagnano ad un calare del fantasticare di Antoine, che non è più un bambino sognante ma un uomo alle prese con la vita. Certamente Tre giorni e una vita non riserva un insegnamento al suo protagonista, o almeno non uno semplice. Quello che impara Antoine è qualcosa di profondo e in realtà insondabile; anche noi lasciamo questo libro con una sensazione di aver assistito a qualcosa di misterioso, che ha tremendamente a che fare con la vita, che ci ha scosso e non sappiamo bene dire perché. 

Nicola Campostori