di Simone Lenzi
Laterza, 2016
pp. 133
€ 10,00
Una bugia detta avventatamente e ignominiosamente svelata, la consapevolezza dell’inesistenza dei miti infantili, aspettative troppo alte poi bruscamente deluse, genitori disattenti o eccessivamente convinti delle proprie idee, desideri ardentemente alimentati e dolorosamente frustrati. Questi sono solo alcuni tra i dolori che affliggono i piccoli protagonisti della raccolta di Simone Lenzi.
Sono mali minori perché tali appaiono all'adulto superficiale, che non li vuole o non li può comprendere, dimentico forse della propria, analoga o similare, giovinezza. Sono mali minori perché sembrano inezie rispetto ai veri problemi che i bambini si troveranno ad affrontare una volta cresciuti, perché la loro importanza verrà sminuita alla rievocazione con un cenno rapido della mano. Ma sono mali minori soprattutto perché, per coglierne il dramma, bisogna farsi piccoli, riacquistare l'innocenza dello sguardo, il senso dello scandalo e dell'ingiustizia, la fiducia totale in un futuro che ha da venire e che sembra carico di promesse.
Il rischio che il volume corre è quello del moralismo, della tendenza a mutare in assoluti eventi specifici e contingenti, a leggere tali eventi in chiave deterministica. Lenzi si salva il più delle volte grazie all'ironia e alla leggerezza di un'affabulazione pacata ma trascinante. L'opera si trasforma allora in una riflessione sul tempo che passa, sulle cose e le menti che cambiano. E la morale non è mai nichilista: al male minore può seguire un male maggiore, o un maggior bene, e al momento del fatto l’esito non è in alcun modo preventivabile. In taluni casi, anzi, il peso di un dato accadimento non viene percepito nemmeno a posteriori, e il piccolo episodio narrato persiste nel ricordo come indecifrabile tarlo della memoria.
La forza straordinaria dell’opera risiede però nella sua capacità di muovere – non solo di commuovere – il lettore: è impossibile restare indifferenti di fronte alla successione dei racconti, impossibile non lasciarsi suggestionare, non ricondurli al proprio passato individuale, non identificarsi con i personaggi, descritti in tono apparentemente oggettivo eppure sempre profondamente empatico. I sentimenti a cui le storie, per quanto diverse, si appellano e quelli che chiamano in causa sono elementari e universali al tempo stesso: ognuno di noi si sente pienamente rappresentato dalle situazioni evocate, se non nel caso specifico almeno in quello che vuole significare. Tutti siamo stati, in qualche modo, vittime di una bruciante disillusione e siamo in grado di descriverla non soltanto a grandi linee, ma nei suoi dettagli più minuti; siamo in grado di riportarla al presente, di riviverla davanti ai nostri occhi come se avesse avuto luogo soltanto pochi giorni fa. Tutti siamo stati condizionati da un evento non necessariamente traumatico, ma che ha inciso sul nostro carattere e sulla nostra coscienza, che ha determinato una trasformazione del nostro sguardo sul reale. L’impresa che riesce perfettamente a Lenzi è allora proprio questa: ricondurci alla nostra infanzia, al nostro lontano, mai dimenticato male minore.
Carolina Pernigo
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