di Jonathan Safran Foer
Guanda Tascabili, 2016
1^ edizione: 2005
Traduzione di Massimo Bocchiola
pp. 351
€ 12
Quanti modi ci sono per raccontare il ricordo e l'amore di un figlio verso un padre? Di sicuro Jonathan Safran Foer non si risparmia: muta i caratteri, inserisce fotografie, piega il dettato della prosa alla necessità di raccontare. E i fatti che deve portare alla luce sono densi di significato, densi di lacrime irrisolte: il piccolo Oskar Schell, che non ha ancora nove anni, deve affrontare la morte del padre nel dramma delle Torri Gemelle. Di lui, gli restano cinque messaggi in segreteria telefonica, tutte le storie che usava raccontargli, l'abitudine di correggere articoli del quotidiano con la penna rossa, e una smodata curiosità, mai pienamente colmata. Oskar fa domande mai scontate, ama studiare il lessico e inventare cose; anzi, cerca di sedare il dolore per il lutto inventando continuamente possibili automobili biodegradabili, aquiloni speciali e tutto ciò che tiene lontano le lacrime. Addirittura scrive a Stephen Hawking, per diventare un suo allievo, e non si risparmia per cercare la verità. Anzi, la verità ossessiona Oskar, dopo che un vaso nel ripostiglio di casa rivela una chiave segreta e un nome: Black.
Allora il piccolo protagonista sa cosa deve fare: indagare, scoprire chi sia questo Black, anche se si tratta di un cognome molto diffuso a New York... Ad aiutarlo, d'altra parte, Oskar ha alcuni fidati e improbabili compagni di viaggio: il vecchio del piano di sotto (lui stesso un Black, ma non quello giusto), e "l'inquilino" che abita a casa della nonna, e di cui Oskar ignora tutto, anche perché abbia smesso di parlare e si esprima solo per iscritto, su quaderni che porta sempre con sé. Alla mamma, d'altro canto, non può rivelare niente: lei non capirebbe; anzi, lei ha ripreso a ridere con uno sconosciuto che si affaccia di tanto in tanto a casa, tale Ron, che Oskar guarda con sospetto.
E mentre il lettore si affeziona senza limiti a Oskar, alle sue stramberie e alla curiosità senza limiti, ecco che anche gli altri personaggi rivelano la loro storia, spesso in lettere mai spedite, che subiscono cambiamenti di stile a seconda del mittente.
È allora, forse, che il lettore teme che Oskar resti troppo ferito dalla scoperta: e se la chiave rivelasse qualcosa di grave? Se Oskar scoprisse davvero come è morto suo padre e ne rimanesse scioccato? Sono tutte ipotesi possibili, ed è proprio a questo punto che il lettore sa di essersi irrimediabilmente affezionato a quel bambino disperato, che non riesce a rivelare le lacrime. E sa che vorrebbe abbracciarlo, o almeno rivelargli nell'orecchio qualcosa che Oskar non riesce ancora a comprendere...
Crescere e scavare nel dolore, ma anche crescere e riprendere a sorridere, a sperare: è l'incredibile commistione di questi elementi, nonché la turbolenta fantasia di Oskar (e di Foer, ovviamente) a far leggere Molto forte, incredibilmente vicino con ansia crescente, mentre il ritmo della narrazione si fa più concitato, verso un finale che è al tempo stesso scioglimento e respiro. Una prova splendida, adatta a lettori che cercano la spontaneità della sperimentazione, atta a non esibirsi in giochi pirotecnici, ma a raccontare davvero i sentimenti.
GMGhioni