È successo qualche giorno prima che incontrassi Sara Rattaro al quarto appuntamento delle Pagine di Clio a Cernusco lo scorso 11 giugno.
Sono sul treno di ritorno dal lavoro e di fronte a me sta seduta una coppia di giovanissimi, avranno al massimo vent'anni. Lei dice qualcosa, si alza quando il treno fischia l’arrivo imminente, lui la richiama a sé con un sonoro «torna qui o ti prendo a schiaffi». Lei si rigira senza dire nulla, io e gli altri passeggeri rimaniamo di sasso.
Quella scena non aveva senso e, proprio per questo, faceva ancora più paura.
L’incontro con Sara Rattaro non è stato certamente dei più semplici. Non solo perché nella location consueta della Bottega del Libro, insieme a Loredana Limone, ha presentato il suo ultimo romanzo sul tema della violenza di genere, Splendi più che puoi (qui la recensione della nostra Elena Sizana), ma anche perché la questione ha creato dibattito e qualche polemica.
Un flashmob per ricordare le vittime della violenza nel 2016 ha condotto alla storia vera di Emma, la protagonista di Splendi più che puoi che a trent'anni si ritrova con una relazione finita perché lui non l’ama più, la consapevolezza di essere arrivati a una conclusione dolorosa, ma che si accetta, e la voglia di ricominciare, magari con più leggerezza. Così conosce Marco, un bel ragazzo con la passione per il collezionismo d’arte che sposa dopo sei mesi, una follia che trova risposta nella convinzione che l’amore non sia un percorso necessariamente fatto di tappe, a volte ci si butta e basta.
Tuttavia il comportamento di Marco cambia quasi da subito. Iniziano le umiliazioni private e pubbliche, la gelosia soffocante, il controllo esasperato delle spese fino alle botte, le reclusioni prolungate in cantina al buio e senza cibo e all'isolamento di Emma e della loro bambina Martina dal resto.
Di fronte a queste situazioni la domanda che spesso ci si lascia scappare è perché una donna non si separi dal compagno, la stessa domanda che la madre rivolge ad Emma: «nessuna donna sta con un uomo che la picchia per scelta. Chi guarda da fuori non può giudicare perché è evidente che un motivo ci sia sempre: i figli, i problemi economici o la vergogna. La vergogna è il sentimento peggiore che abbiamo, pensiamo a quanto sia difficile decidere di recarsi in caserma e sporgere denuncia: e se ci capitasse di trovare un poliziotto che, per educazione ricevuta, non accogliesse il nostro dolore?».
Quando si parla di violenza domestica si spera di non trovarsi mai davanti a qualcuno che non comprenda la gravità di certi comportamenti, magari qualcuno pronto a liquidare tutto con un ‘se l’è cercata’. Chi cerca la violenza? Quale donna può accettare di essere maltrattata dall’uomo con cui ha scelto di stare? Non bisogna stancarsi di precisarlo perché anche durante l’incontro c’è stato chi ha insinuato che uno schiaffo per alcune donne rientri in una sfera di normalità coniugale, segno della gelosia dell’uomo e quindi delle sue attenzioni. «Nessuna donna può desiderare di essere picchiata» ribadisce Sara «e nessuna donna si compiace di avere che un uomo che la prenda a schiaffi. Tutte le donne che abbiamo ricordato oggi hanno provato a ribellarsi, ma non sono riuscite a sfuggire a chi diceva di amarle».
Marco soffre di un disturbo paranoide che lo porta escludere dal mondo la moglie e la figlia. Nonostante il dolore che le procura, Emma ammette la responsabilità della famiglia del marito che pensando di proteggerlo e, probabilmente di salvare le apparenze, lo ha sempre assecondato e si è unita a lui nel sostenere che Emma si fosse inventata tutto. «Educhiamo i nostri figli maschi a non aver paura di mostrare le proprie debolezze. Al tempo stesso insegniamo alle nostre figlie a non scendere a compromessi con gli atteggiamento violento e con nessun tipo di mancanza di rispetto: siamo cresciute credendo che siamo state noi a volere determinate reazioni, ma lo ripeto nessuna donna, per nessuna ragione, desidera essere picchiata».
L’altra questione grave, ci ricorda Sara, è che solo recentemente con la legge n. 154 del 2001, lo Stato ha riconosciuto la violenza domestica non più come un fatto privato bensì come reato che comporta provvedimenti: «anche la legge suggeriva di lavare i panni sporchi in casa propria non sollecitando, dunque, le donne a denunciare per liberarsi dai propri oppressori. Da quell’anno si è iniziato ad utilizzare un termine nuovo come femminicidio» .
Mentre scrivo il correttore del mio PC sottolinea in rosso la parola. Controllo su Whatsapp e nemmeno il vocabolario del cellulare la comprende. Allora forse dovremmo ragionare su questo, cioè sul fatto che un problema che colpisce la quotidianità di moltissime donne, che fa parte delle emergenze più impellenti della nostra comunità, sia ancora lontano dall’essere riconosciuto come tale.
Nel 1996 la legge n. 66 identifica finalmente la violenza sessuale come un reato verso la persona e non più verso la morale pubblica e il buon costume: «i titoli della stampa dell’epoca la descrivono come un grande passo in avanti per le donne. Solo per le donne? Traguardi del genere non devono interessare solo le donne, ma sono dei risultati per la società civile. L’intero sistema educativo deve cambiare. Prendiamo chi ha inseguito e dato fuoco a Sara Di Pietrantonio, un ragazzo di 27 anni che ha ucciso brutalmente la propria ex fidanzata perché non riusciva ad accettare la fine della relazione. Tutti abbiamo avuto il cuore spezzato, ma togliere la vita a qualcuno è segno di un disagio profondo della nostra società e del modo che abbiamo di vivere e manifestare i sentimenti. Per questo gli uomini devono prendere le distanze da chi è violento, loro stessi devono far sentire la propria voce. È una responsabilità collettiva».
Tra le scene più toccanti di Splendi più che puoi c’è l’incontro tra Emma e la donna sul treno. Lei, come tante altre persone del paese, sapeva della sua storia e della violenza del marito senza che nessuno fosse mai intervenuto.
Non è semplice esporsi, riuscire ad avvicinare delle sconosciute, offrire loro il nostro aiuto: anche io avrei dovuto dire al ragazzo del treno che per nessuna ragione doveva rivolgersi così alla compagna. Guardando alle responsabilità di tutti, credo che in questi casi si debba ricorrere alla solidarietà, non aver paura di cercare il dialogo e di segnalare se un’amica o una vicina di casa ci sembra in difficoltà. Emma non si tira indietro quando scopre che Marco, dopo la separazione, frequenta una nuova donna.
Chi si trova in difficoltà cosa può fare? «Alcuni sportelli antiviolenza sono aperti in determinati giorni come quelli in cui nelle città o nei paesi si fa il mercato perché molte donne maltrattate possono uscire solo per la spesa. In ogni caso bisogna recarsi in un centro e chiamare il 1522» .
Davanti alla violenza non esistono giustificazioni. Davanti alla gelosia esasperata, lo sfruttamento economico non esiste nulla che equivalga a una vita di coppia normale. Le prime avvisaglie non devono essere sottovalutate perché nessun momento di nervosismo può tradursi in schiaffi e umiliazioni
Emma si pone i dubbi di qualsiasi donna al suo posto: non può essere vero, quello non può essere mio marito. Passa attraverso un inferno lungo dieci anni, prova il senso di colpa per aver scelto l’uomo sbagliato e la vergogna di fronte ai genitori, fino a quando decide di dire basta a chi non può essere cambiato, al pezzo di vita che non le sarà mai restituito e riappropriarsi, finalmente, di sé.