Atlante dei luoghi maledetti
di Olivier Le Carrer - Sibylle Le Carrer
Traduzione di Mara Dompé
Bompiani, 2014
pp. 134
21,50 euro
Mi sono concessa un salto in libreria dopo il lavoro per fantasticare un poco sulle ferie. Ho puntato dritto alla sezione dedicata alle guide turistiche, nel vano tentativo di evitare la consueta emorragia che subisce il mio conto a ogni ingresso in libreria. Il proposito era dei migliori: organizzare un minimo itinerario di viaggio – qualcosa di più del mio solito “arriviamo là e vediamo”. L’Atlante dei luoghi maledetti se ne stava in piedi, tra le guide turistiche, cellofanato. Troppo tardi. Ormai l’avevo visto. Il richiamo di tutto ciò che è elenco, compendio, inventario è per me più irresistibile di qualunque proponimento. È così che l’Atlante viene a casa con me, ancora sigillato dal cellophane.
Nonostante il titolo non prometta nulla di attraente, il libro graficamente è bellissimo. Incantevole rilegatura (in stoffa!), gustose mappe di fine Ottocento prontamente sistemate, tutto accompagnato da disegni di Doré e altri sullo stesso stile. I luoghi peggiori del mondo, splendidamente incorniciati. Perché proprio di questo si tratta: Olivier Le Carrer ha descritto quaranta posti dai quali è consigliabile tenersi alla larga.
Ci sono coste dove il mare, impietoso, inghiotte ogni tentativo umano di insediamento. Zone dove invece è la sabbia a ricoprire edifici, persone e sogni. A Long Island c’è una casa che parlò a uno dei residenti e lo convinse a uccidere tutti gli altri. In Zambia, a Kasanka, ogni anno arriva un’ondata di pipistrelli così spaventosa da oscurare il cielo. Il castello di Montségur in Francia fu teatro della mattanza dei catari perpetuata da Luigi IX. Persino alcuni tra i classici paradisi del turismo internazionale hanno un posto nel libro di Le Carrer: Thilafushi, alle Maldive, è diventata una vera e propria discarica a cielo aperto dove tutti i maldiviani scaricano e bruciano i rifiuti. L’Atlante dei luoghi maledetti diventa come una collezione di trame di possibili romanzi – tutti rigorosamente horror.
Le Carrer spiega nell’introduzione il triplice criterio per rientrare in questo elenco: ci sono luoghi interessati da supposte maledizioni con conseguente scia di equivoci e millantate prove, luoghi dove la natura rende difficoltoso l’insediamento e luoghi resi inospitali proprio a causa di scellerati interventi umani. Ma la verità è che l’uomo resta il comune denominatore dietro ognuno dei quaranta posti maledetti. Del resto, è l’etimologia del termine a preannunciarlo: “maledire” dal latino maledicĕre, male e dicĕre, letteralmente “dir male” di qualcosa. E per parlar male di qualcosa o di qualcuno, ci vuole appunto un parlante – l’uomo. Che anche dove apparentemente sembra non aver alcuna responsabilità, come dinnanzi a una spiaggia infestata da feroci coccodrilli, è invece chiamato all’unico progresso possibile: fare un passo indietro. L’arroganza di voler essere dappertutto, anche dove la natura non gradisce, non è forse anch’essa una colpa?
Manuela Cortesi
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