di Salvatore Satta
Nota introduttiva di Valerio Magrelli
Ilisso, 2015
pp. 123
Euro 7,00
«Potrebbe continuare, ma non continua
essendo arrivata l’alba.
Ma la storia è veridica, ahimé.
Spero di tornare presto, e vi abbraccio».
Fate uno sforzo di memoria e provate a ricordare come era la vostra vita, specie dal punto di vista delle comunicazioni, prima che sms, chat e mail la rivoluzionassero senza misericordia. Provate a pensarvi ex novo (e pure ex abrupto) senza smartphone, senza tablet, senza PC. Immaginate ora di volere o dovere lasciare un messaggio a una persona, magari a qualcuno che abita con voi – genitore, coniuge, prole assortita e così via: vi sentireste perduti o tornereste naturalmente al classico binomio di carta e penna? E che cosa, e come lo scrivereste? Corsivo? Stampatello? Prosa nominale stile lista della spesa? Prosa criptica tale da mettere a dura prova la decodifica a chi non conosca il codice di riferimento? E poi: sentireste il bisogno di apporre un autografo? Una firma veritiera? Un soprannome che vi siete dati o che vi è stato affibbiato? Tali domande non vi paiano oziose, anche se siete tra coloro che non si stancano di scrivere “ti amo” sullo specchio del bagno perché il/la partner lo legga al risveglio o se fate parte di quella categoria di persone che ancora inviano cartoline dalle vacanze invece che spammare un detestabile selfie su tutti i social direttamente dall’“ombelico del mondo”. Meglio: queste interrogazioni non vi parranno più così ovvie dopo che avrete letto quelli che con una formula audace si potrebbero definire i deliziosi “pizzini” di Salvatore Satta, raccolti da Ilisso in un prezioso volumetto il cui titolo – Padrigali mattutini – annuncia già la natura ibrida di questa forma di comunicazione domestica tra il noto giurista e scrittore nuorese e la sua adorata famiglia.
Oltre che giurisperito e autore di narrativa di (soprattutto) “postuma fama”, Salvatore Satta fu anche marito (di Laura Boschian) e padre di due figli (Filippo e Luigi). L’uomo di leggi, compilatore di un Commentario al codice di procedura civile (1966) tanto monumentale quanto celebre, e dei Soliloqui e colloqui di un giurista (1968), aveva dunque una vita privata scandita dalla quotidianità dei rapporti con i propri congiunti, abbandonati ogni mattina al momento di uscire da una casa ancora profondamente addormentata e ritrovati ogni sera al termine della lunga giornata lavorativa. Ma chi avrebbe mai sospettato che l’autore di un’opera capitale come Il giorno del giudizio (pubblicata post-mortem alla fine degli anni Settanta), ovvero l’inventore di una definizione atroce e immortale come “nido di corvi” per la sua città natale (Núoro, nel cuore della Barbagia), potesse volgere la stessa area semantica – quella del “covo” domestico – a esiti di tale stravagante intimità? Come se il testimone delle bassezze umane causate dalla seconda guerra mondiale, e che furono all’origine delle amarissime riflessioni fissate nel De profundis (1948), celasse tuttavia nel suo animo la leggerezza soave del messaggero di appunti e facezie.
Perché Salvatore Satta – scrittore “puro”, lettore colto, dotto semiserio o volutamente ironico – non si limitava mai a mere comunicazioni di servizio, nemmeno quando l’oggetto dell’appunto era lo sciacquone del bagno rotto da riparare, la cattiva digestione di un papassino innaffiato di vino rosso, l’atroce convegno a cui si avviava a partecipare o la gita fuori porta da programmare. Al contrario, ogni nota, ogni postilla, ogni comma di questo codice interno alla famiglia Satta-Boschian viveva al meglio nella sua resa versificata – e in questo è d’obbligo la lettura della bella nota introduttiva a firma del poeta “in causa” Valerio Magrelli, che per nominare questo sistema di messaggistica ante-social parla di «posta intra-casalinga», «nugae», «piccolo corpus familiare di biglietti», «canzoniere da tinello»; una summa tale che, data la varietà delle forme metriche prescelte e il sentimento d’amore palmare presente in ogni sillaba, si sarebbe ben potuta definire, appunto, quasi un florilegio di Madrigali, se Satta non emergesse qui nella sua statura al contempo paterna, autorevole e bonaria, e nella sua identità poliedrica ben testimoniata dall’alternanza giocosa delle firme (Bibi, Ettore, Pater Bibus, Bibi Dante, Il poeta benedetto, Il viandato, Salvador Dalì, Rolandino, Il penestrello, Romeo, Bobore, Cio, SS, Iona, Il canarino, Ulisse, Pater, Giacinto Pezzani, BB, L’errante, Pindaro).
A impreziosire il volume, ecco anche la riproduzione fotografica, a fronte pagina, di ogni “pizzino” autografo (gli appassionati di grafologia ringrazieranno), e una carrellata di scatti inediti dell’autore che per l’intimità e, talora, la goliardia delle situazioni e delle pose, non potrà che confermare l’edizione come un album privato ma ora finalmente accessibile ai cultori di Satta; un libro in più, che piacerà – c’è da scommetterlo – anche ai suoi nuovi estimatori e futuri lettori.
Cecilia Mariani