Accettazione
di Jeff VanderMeer Trilogia dell'Area X. Libro terzo
Supercoralli, Einaudi, 2015
pp. 288
17,00 euro
Approdare, guidati dalla luce di un faro, nell'intimo mondo che ognuno racchiude sarebbe salvifico infine. Alla fine di un viaggio così come alla fine di una giornata. Ma non è questo l'epilogo che Jeff Vandermeer ha pensato per il suo viaggio nell'Area X. Gli indizi in effetti li abbiamo trovati e collezionati, come si fa con i ciottoli o le conchiglie, lungo questo cammino fatto di Annientamento e di Autorità, fino all'Accettazione. Cosa racchiude questo terzo libro della trilogia, così diverso dagli altri due, non ho la minima intenzione di svelarvelo. Una cosa è certa, il viaggio che la Biologa e Controllo hanno iniziato finirà ben oltre i confini dell'umana comprensione.
L'Area X diventa indistinta, se parliamo di barriere percepibili e si contestualizza enormemente. Affiorano particolari importanti della vita dei vari protagonisti, che abbiamo iniziato a conoscere senza nome e senza passato, proprio per non farci distrarre dall'elemento dominante: la Natura.
Cosa sia per lo scrittore questa natura, che viene manipolata dall'uomo fino ad essere annientata e poi prende il sopravvento su tutto, sulle nostre vite, sui nostri corpi, sui nostri limiti e sulle percezioni, è la vera domanda da porsi, per comprendere fino in fondo l'opera. Che sia un fantasy thriller ecologico o venga inserito a ragion veduta dentro un genere definito New Weird, poco importa. L'opera, così come il suo contesto, quest'Area X così misteriosa ma in fin dei conti tangibile, sfugge ad ogni etichettatura.
Un esperimento dagli effetti devastanti, con un impatto psicologico fuori dagli schemi, una catastrofe di cui a stento comprendiamo la portata e in cui ci inoltriamo consapevolmente, come si fa con i sentimenti, sono gli elementi che ci guidano dentro un plot avvincente, con impennate e improvvise soste.
E nelle conseguenze inespresse di una storia d'amore che non arriva mai ad esplodere, ma i cui effetti devastanti si ripercuotono incessantemente sulle azioni dei protagonisti, ci conduce Vandermeer, guidandoci per mano, pagina dopo pagina.
La struttura, così lineare nel primo libro, basata sul racconto di una spedizione verso un luogo non meglio definito, cede il passo all'indagine psicologica e intima nel secondo libro, in cui vengono raccontati i retroscena della vita dei vertici di un'organizzazione che muove le fila di un progetto sfuggito di mano e cerca di tenerne nascosti gli esiti. Nel disgregarsi dei rapporti di forza tra chi ha fatto parte della spedizione e chi l'ha comandata, tra il passato e il presente di chi si è inoltrato in questo luogo di non ritorno, nel seme gettato per caso tra le pagine del primo libro fioriranno i frutti abnormi dell'ultimo capitolo di questa saga affascinante.
Il messaggio più importante è un ammonimento verso gli uomini e il loro modo di intendere il rapporto con la natura, perché non possiamo intaccare gli equilibri del mondo in cui abbiamo la fortuna di vivere per meri scopi egoistici, assoggettando tutto il contesto ai nostri bisogni, senza infine assumerci la responsabilità di ciò che viene generato, che prima o poi finirà per fagocitarci. Il sonno della ragione genera mostri, ma anche la lucida logica della scienza è in grado di generarne di orrendi.
Rifugiarsi nella fede può essere una via di fuga? Non basta. Perché ogni genere di autorità deve arrendersi all'evidenza del gesto. La coalizione di trascendente e razionale non darà vita ad un bene supremo, ad una autorità in grado di salvarci? Non per i protagonisti senza identità di Vandermeer, per cui contano più i fatti che la morale, il ruolo più che la vicenda personale, la maschera più della persona. Nasce da queste premesse un totale annientamento di volontà, una triste accettazione delle conseguenze di un disastro di cui siamo responsabili, uomini o donne, capi o funzionari, buoni o cattivi, tutti fagocitati nel buco nero della nostra mostruosità.
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