di Daniel Pennac
Feltrinelli, 2015
pp. 245
€ 9,00
Titolo originale: Chagrin d’école
Traduzione di Yasmina Melaouah
Anno scolastico 2016/2017. Studenti e professori iniziano a temperare le matite e a scartare i quaderni avvolti nel cellophane, a radunare energie ed entusiasmo, a guardare con sospetto la sveglia che presto ricomincerà a suonare prima che il sonno sia passato. Lo scrittore francese Daniel Pennac, ex somaro illustre e docente appassionato, offre un'interessante testimonianza della vita dentro e fuori dalle aule nel suo Diario di scuola, di cui vogliamo rileggere insieme alcuni passi. La sua è al contempo la storia di una redenzione, la propria; la memoria di una serie di incontri salvifici con dei professori illuminati; la riflessione critica e attenta su un sistema – quello dell’istruzione – che rivela tanti pregi, ma anche tante lacune. Il suo sguardo è sempre ironico e compassionevole, scanzonato ma comprensivo. La visione della scuola che emerge dal testo non può quindi che essere un buon augurio, ma anche una fonte di possibile ispirazione, per chi in questi giorni sta tornando a varcare le soglie degli istituti, pronto a insegnare o ad apprendere nella generosità di uno scambio condiviso destinato a prolungarsi per più di nove mesi.
Guardiamoci bene dal sottovalutare l'unica cosa sulla quale possiamo agire personalmente e che risale alla notte dei tempi pedagogici: la solitudine e il senso di vergogna del ragazzo che non capisce, perso in un mondo in cui gli altri capiscono. Solo noi possiamo tirarlo fuori da quella prigione, formati o meno per farlo. Gli insegnanti che mi hanno salvato - e che hanno fatto di me un insegnante - non erano formati per questo. Non si sono preoccupati delle origini della mia infermità scolastica. Non hanno perso tempo a cercarne le cause e tantomeno a farmi la predica. Erano adulti di fronte ad adolescenti in pericolo. Hanno capito che occorreva agire tempestivamente. Si sono buttati. Non ce l'hanno fatta. Si sono buttati di nuovo, giorno dopo giorno, ancora e ancora… Alla fine mi hanno tirato fuori. E molti altri con me. Ci hanno letteralmente ripescati. Dobbiamo loro la vita. (35)
I nostri studenti che "vanno male" (studenti ritenuti senza avvenire) non vengono mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro precluso. Guardateli, ecco che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nel zaino. La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla. Difficile spiegarlo, ma spesso basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola di un adulto, fiduciosa, chiara ed equilibrata per dissolvere quei magoni, alleviare quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo. Naturalmente il beneficio sarà provvisorio, la cipolla si ricomporrà all'uscita e forse domani bisognerà ricominciare daccapo. Ma insegnare è proprio questo: ricominciare fino a scomparire come professori. Se non riusciamo a collocare i nostri studenti nell'indicativo presente della nostra lezione, se il nostro sapere e il piacere di servirsene non attecchiscono su quei ragazzini e quelle ragazzine, nel senso botanico del termine, la loro esistenza vacillerà sopra vuoti infiniti. (55)
Ogni studente suona il suo strumento, non c'è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l'armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un'orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all'insieme. Siccome il piacere dell'armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica. (107)
Carolina Pernigo
Social Network