Non devi dirlo a nessuno
di Riccardo Gazzaniga
Einaudi, 2016
pp. 243
€ 17,50
Bentornato a Riccardo Gazzaniga,
dopo il suo esordio con “A viso coperto” del 2013. L’autore genovese si regala,
e ci regala, per i suoi 40 anni il secondo romanzo capace di rievocare sia
certe atmosfere fiabesche sia “The body”, il racconto di Stephen King da cui è tratta la celebre pellicola
“Stand by Me”. Ma qui siamo a Lamon, provincia di Belluno, e
non in Oregon o in Maine. Abbiamo a che fare con fagioli e Salvanel, leggendario
uomo rinselvatichito che abita i boschi. Se sia buono o cattivo dipende dai
vecchi che ne narrano le gesta. È il 23 luglio 1989 e si gioca l’ennesima
partita serale di calcio tra locali e «foresti», lamonesi contro vacanzieri.
Nella squadra di questi ultimi giocano i fratelli Ferrari, Luca e Giorgio, il primo a cavallo tra infanzia
e adolescenza, tredicenne, il secondo di tre anni più piccolo e sottratto per
miracolo alla morte al momento della nascita. Sono i figli di un magistrato
genovese, Tommaso Ferrari, che ha guidato un’inchiesta contro la malavita
comune, però molto efferata, nel capoluogo ligure e ha vissuto anche una storia
alla Calabresi, con un processo per la morte di un tizio, un bandito
catturato, volato dalla finestra di un ospedale. Il fratello di questo tizio ha
giurato in cuor suo eterna vendetta.
Così a Lamon, dove si susseguono ignare le giornate di villeggiatura e
i ragazzini del posto provano a fare banda con i coetanei che arrivano per
trascorrere l’estate, si aggira un mostro. Anzi due. D’altronde una fiaba, anche se rimodellata a tinte
moderne e noir, pretende dei mostri. Il primo è il criminale che cerca la
rappresaglia contro la famiglia del magistrato, il secondo è l’uomo selvatico,
il Salvanel, il diverso, l’escluso che il paese ha costretto a vagare e che si
è trasformato in un orco-custode della purezza e dell’innocenza dei boschi. I
due mostri, prima di sfidarsi, incroceranno i rispettivi sguardi con quello di
Luca, in un gioco di crescente ambiguità, opacità, annullata da dissoluzioni
repentine. Varianti che danno la giusta misura della crescita stilistica di
Riccardo Gazzaniga.
Se già in “A viso coperto”, l’autore aveva imbastito una trama a
specchio, ovvero ultras contro celerini dove i principali protagonisti di
entrambe le fazioni recitavano la parte di avversari ma l’uno poteva
rispecchiarsi nel relativo contraltare, anche qui Gazzaniga lascia intravedere
dimestichezza con tale artificio letterario. Ed ecco le squadre di calcio dove
villeggianti e lamonesi si somigliano un po’. Sarà perché son tutti ragazzini
delle medie. Però spicca una
singolarità, un qualcosa che devia dalla linearità dei confronti: Samuele,
il lamonese figo con il motorino e l’orecchino che di sicuro si metterà con
Chiara di cui Luca, a sua volta, è cotto. Samuele risalta inevitabilmente fra
questi adolescenti smidollati che ancora devono chiudersi in bagno, non per
fare la pipì, o pomiciare.
Superata la prima curva, Gazzaniga avrebbe potuto imbastire il racconto
di un’estate perduta tra sfottò calcistici, sgommate, giornaletti pornografici,
amarcord degli anni Ottanta, pianti d’amore e miti musicali. Ci troverete anche
questo ma l’autore va oltre, utilizzando
la scrittura come un positivo aggrovigliarsi. E allora cosa fa? Ci
scaraventa subito al buio. La fiaba ha bisogno di oscurità. Che sia una tana
che sia un bosco che sia la casa di una strega. O di una famiglia dove si
tacciono molte cose.
Credo che questo romanzo, una volta finito, inviti al confronto tra il
titolo, “Non devi dirlo a nessuno”, e quanto invece sia più o meno auspicabile,
ovvero il contrario: dirlo a tutti. Durante la costruzione delle sue fantasie,
prima per l’uomo selvatico poi per il bandito venuto a uccidere lui e la
famiglia, Luca non fa una parola ai genitori, si sbottona appena con il
fratello ma stando attento a mantenere i toni della ragazzata o del
video-gioco. Luca si muove nel segreto
di tesi che per lui diventano certezze non condivise. È molto combattuto,
ovviamente, tuttavia trae forza dalla progressiva consapevolezza che i genitori
fanno lo stesso con lui. Celano, tacciono, sorvolano, raccontano bugie. Lo
trattano non come un figlio ma come un’entità biologica. Quindi perché non
ripagarli con la stessa moneta?
Soltanto che le bugie o le mezze verità se compresse dentro un
ipotetico baule, se stipate all’inverosimile, prima o poi generano un effetto
catastrofico. E non è tanto, o soltanto, Luca che avrebbe dovuto dire ma
anche il padre e la madre erano tenuti a farlo, tra di loro e con i figli. Per
loro e per i figli. Perché, le cose
comunque maturano, autonomamente, indifferenti alla perdita di credibilità
delle persone: a causa delle loro reticenze, poi nessuno darà ascolto alle
paure e alle convinzioni su Salvanel, criminali, crisi di coppia. Se Luca
abbia colto o meno nel segno potranno dimostrarlo solo le circostanze: il
destino, la sfiga, la botta di culo. Chiamatele come volete.
Il rischio, a quel punto, è di avere fatto tardi agli appuntamenti
della vita, quella che sbatte in faccia la
verità, la sintesi dialettica tra le sfumature e i particolari che vede uno e le
sfumature e i particolari che vedono gli altri. Servirà forza, o magari è
soltanto questione di età, perché a babbo natale che non esiste siamo tutti
sopravvissuti, per trasformare le conseguenze in scosse salutari, svolte
positive. Non sarà scontato. Per gli adulti è più facile che restino solo
macerie.
Mi permetto un'unica annotazione, che non riguarda l'autore. In cima all'articolo trovate indicate 243 pagine ma al momento della pubblicazione, nel sito di Einaudi le stesse diventano 256. Anche ad aggiungere la pagina e mezzo dei ringraziamenti, che personalmente escludo perché non fa testo, mi pare che i conti non tornino. In 10 pagine di cose ne possono ancora succedere.
Marco Caneschi
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