Ghetto Italia. I braccianti stranieri tra caporalato e sfruttamento
di Yvan Sagnet e Leonardo Palmisano
Fandango Editore
pp. 240
euro 15,00
Questo libro è un viaggio che vorresti fare chiudendo gli occhi e tappandoti il naso, ma è necessario farlo con gli occhi sbarrati, e la puzza di marcio sotto le narici, fino in fondo.
Leonardo Palmisano, sociologo ed etnologo, ci conduce lungo la penisola, dalla Sicilia al Piemonte, passando per Puglia, Calabria, Campania e Lazio, dentro alcuni dei ghetti in cui anche oggi sono sfruttati migliaia di lavoratori stranieri. Ad accompagnarlo c'è il sindacalista Yvan Sagnet, uno dei protagonisti della rivolta dei braccianti di Nardò, nel 2011. Un libro, questo, che non è passato inosservato, e all'inizio di quest'anno i due autori hanno ricevuto minacce pesanti e la solidarietà di quella fetta di buona Italia che per fortuna ancora si indigna.
Ma indignarsi non è abbastanza, e lo si intuisce subito, dalle prime pagine del reportage. Indignarsi senza capire, senza conoscere a fondo questo sistema che ha portato l'Italia a costruire un modello criminoso di stampo mafioso, a livellarne ogni ingranaggio, a indebolire ogni flebile pretesa di ribellione, non può bastare. Questa estate mi sono ritrovata come sempre in Sicilia, e vedere quei posti cari alla mia memoria, nomi che sono diventati il simbolo dello sfruttamento del caporalato in provincia di Ragusa o Siracusa, e questa consapevolezza mi ha inchiodata ad un mondo di responsabilità e di dubbi. E questo potrebbe succedere, salendo più a Nord, tra le campagne della nostra bella Italia, in ogni posto in cui vediamo aziende fiorenti che vivono dei prodotti della terra, frutta, patate, pomodori, zucchine, uva.
Mi sono chiesta, come fa più volte Palmisano, se è successo tutto anche grazie alla mia indifferenza, se ho scritto abbastanza in questi anni per denunciare, se ho trovato le parole giuste per denunciare, nelle inchieste giornalistiche, quello che nero su bianco, le parole di questi nuovi schiavi su cui poggiamo le leve di gran parte della nostra economia, mi hanno sbattuto in faccia dalle pagine di questo libro. Non lo so. Ma so che la favola che molti ancora si raccontano, sul lavoro che manca perché "gli altri" vengono a rubarcelo, l'abbiamo più volte smentita con fatti e con dibattiti, il fenomeno che ha silenziosamente costruito un impero sulle spalle dei lavoratori sfruttati come animali, al contrario, non fa abbastanza rumore. Questa inchiesta coraggiosa ne delinea ogni passaggio. Lo fa con cura, lo fa dalla voce dei suoi diretti protagonisti, lo fa senza tacere le connivenze degli italiani e di alcuni immigrati ben inseriti nel sistema, lo fa con sgomento e con partecipazione. La stessa atterrita partecipazione che porta il suo autore a scrivere:
E mi domando cosa siamo, noi, se mangiando un mandarino a tavola, d'inverno, non sentiamo il sapore amaro della prigionia.
Complici? Indifferenti spettatori? Parte in causa in quel sistema che vanta ricchezza e lavoro proveniente dalla terra, tacendo che per ottenerlo abbiamo creato un sistema di schiavitù organizzata? Come nel fiorente Nord Italia, guardato da sempre, soprattutto per chi ha origini meridionali, come nel caso dell'autore (e come nel mio caso), come un esempio fulgido di un sistema di servizi che funzionano, specchio dell'Italia che lavora, quell'Italia che è il vanto e lo slogan di molte campagne politiche. Il sogno delle generazioni di ieri, l'approdo odierno di molti dei nostri giovani, costretti a trasferirsi per bilanciare la preparazione universitaria con le aspettative lavorative, troppo spesso tradite da un Sud che non cresce e non premia. Un Nord che, grazie a questo libro, si scopre quanto mai solidale con il sistema vigliacco e criminale dei ghetti, che al riparo da occhi indiscreti, ingrassa i vigneti più blasonati del Piemonte, dall'astigiano al saluzzese, sulle spalle e le braccia di intere generazioni dell'Est, che da stagionali vengono qui a sacrificarsi e a disilludersi. E li ho visti anche con i miei occhi, questi signor nessuno che in bici, di notte, su strade poco illuminate, si destreggiano come possono per "non esistere", per non far sorgere il dubbio che c'è un campo da cui hanno perduto un altro tramonto e c'è un ghetto, con qualche casolare antico e fatiscente, dietro i filari compatti e perfetti a perdita d'occhio, che li accoglie infine fino a che l'uva bella e matura non diventerà ricchezza per i signori che non si chiedono chi l'ha raccolta e ammassata, fino ad alzare i calici con il suo nettare. Ad agosto è stato finalmente approvato al Senato il Ddl anti sfruttamento e ci sarebbe quindi l’impegno del Ministero del Lavoro e dell’Agricoltura nel contrasto allo sfruttamento lavorativo. La conseguenza primaria è intanto il riconoscimento di questo fenomeno, per il quale un rapporto su Agromafie e caporalato della Flai Cgil del 2016 parla di circa 430mila persone sfruttate in Italia, e si spera si vada oltre l'impegno formale e la presa di coscienza.
Un altro aspetto sottolineato anche in questo libro è relativo alla pratica illecita del caporalato etnico, ossia un’intermediazione tra datore di lavoro e lavoratore condotta da un caporale di cittadinanza straniera.
Lo stile è quello del reportage, del racconto partecipato, per rendere ogni testimonianza preziosa, ogni parola un mondo. Non è un noioso susseguirsi di testimonianze, ma al contrario, ogni incontro ci restituisce un pezzo di vita difficile da digerire, ci pone davanti a degli interrogativi scomodi, approfondisce aspetti della più recente attualità; le proteste, le morti atroci per sfinimento, i casi che hanno fatto indignare l'opinione pubblica, Expo e i dibattiti mai affrontati in quella sede. Il tutto senza mai deviare dall'obiettivo principale, svelare a chi ancora non lo sapesse, chi muove gran parte dell'economia del nostro paese oggi e a che prezzo, chi ci lucra, chi ne fa le spese, chi ci vive, chi ci muore. Cos'è il caporalato oggi, cosa significa la schiavitù nel nuovo millennio, come facciamo a vivere indifferenti nelle nostre case mentre le nostre campagne sono popolate da ghetti. Chiediamocelo, tutti, la prossima volta che vedremo un cesto di frutta sulle tavole calde e accoglienti di casa nostra.
Social Network