Io ti troverò
di Shane Stevens
Fazi Editore, 2016
Traduzione di Giuliano Bottali e Simonetta Levantini
pp. 792
14,00 euro
Thriller-noir di forte impatto, Io ti troverò (titolo originale
By reason of insanity) è il capolavoro di Shane Stevens, pubblicato per la
prima volta nel 1979 e giunto in Italia con Fazi
Editore.
Anni ‘70. Thomas Bishop, venticinquenne squilibrato della
California, è rinchiuso da anni in un manicomio criminale, dopo aver ucciso (a
soli dieci anni) la madre Sara, stordendola e gettandola nella stufa. Con un’infanzia
di gravi violenze alle spalle, vittima per anni delle sevizie materne, Thomas
Bishop sembra essersi trasformato, con l’età adulta, nella perfetta
incarnazione del Male: talmente psicotico da convincersi che le donne siano mostri
da eliminare, cancri da estirpare da un mondo osservato come un videogame
(molti anni prima del loro avvento), e così intelligente e geniale da
proteggere la sua “missione” indossando i panni della apparente normalità.
Sotto una ben simulata apparenza, percepirono un trauma mai completamente sanato. (…) Un uomo privo di sentimenti verso i suoi simili, senza un modello di condotta morale, un uomo intimamente furioso per la rabbia da sempre repressa, psicologicamente segnato da anni di orrende sofferenze nel periodo più delicato della crescita.
Quando si presenta l’occasione di fuggire dall’ospedale
psichiatrico in cui è rinchiuso, Bishop non se la lascia scappare, coinvolgendo
un ignaro compagno, Vincent Mungo, vittima sacrificale da uccidere e rendere
irriconoscibile per rubarne l’identità.
La fuga coincide con l’inizio di una lunga serie di
terribili omicidi, le cui vittime sono invariabilmente donne: una lunga scia di
cadaveri, orribilmente mutilati, che dalla California arriva a New York,
passando per svariate città. Il lettore segue Bishop nella sua “missione”,
assistendo agli omicidi, ma passa anche dall’altra parte, seguendo passo passo
le indagini dei detective, oltre a conoscere una miriade di altri piccoli
personaggi, le cui esistenze sono in qualche modo legate alla follia omicida
del serial killer, o per interesse, o per follia del destino, oppure ancora per
misteriose connessioni del passato che riemergono sorprendentemente.
Un romanzo corale, dunque, in cui si assiste alle macabre
sequenze dell’orrore, ma in cui si scopre anche come in un mondo popolato da
personaggi cinici, il dolore non sia mai un sentimento solitario, ma conviva
con una miriade di emozioni molto meno nobili: la sete di vendetta, il
rendiconto personale, l’aspirazione carrieristica… Sono multiple le storie e le
motivazioni che animano i personaggi gravitanti intorno alla follia di Thomas
Bishop, i quali sembrano trarre vantaggio dalla sua epopea criminale: il
senatore Stoner, i vertici del periodico Newstime, il professore di psicologia
criminale Amos Finch, e molti altri.
Autore misterioso, Shane Stevens (il cui nome è uno
pseudonimo per proteggerne l’anonimato) ha scritto romanzi polizieschi per
quindici anni, dal 1966 al 1981, ispirando grandi autori di thriller come Stephen
King, James Ellroy e John Connolly, e si è poi ritirato del tutto dalla vita
pubblica e dalla letteratura fino alla sua morte, avvenuta nel 2007; con Io ti troverò, inaugura la figura del
serial killer in letteratura, non limitandosi a presentarne la depravazione ma
rivelando anche le ragioni profonde che vi stanno dietro, unendo indagini poliziesche
ad analisi psicologica, reportage giornalistico e genio letterario.
Due sono le relazioni che governano il romanzo e che saranno
determinanti per Thomas Bishop: quella violenta con la madre Sara, e quella pietosa
con il reporter Adam Kenton, l’unico che calandosi nei panni del killer,
condividendo il suo dolore e comprendendone l’origine ancora prima di
scoprirla, arriverà a stargli alle calcagna.
Mentre tornava a essere quel bambino sperduto, gli occhi gli si riempirono di lacrime e la sua mente finì per scivolare verso un altro bambino che aveva sofferto in modo disperato, inconsolabile, e che infine aveva trovato una qualche forma di pace nella folliaQuei due bambini non erano poi tanto diversi. Era solo una questione di gradi.
Kenton non riusciva neanche a concepire l’incalcolabile dolore che un caso del genere poteva provocare a un essere umano. Il pensiero gli spezzava il cuore. Voleva urlare vendetta, ma non c’era nessuno su cui vendicarsi. Non c’era nessuno. Solo un esercito di poliziotti con una grande quantità di armi puntate su un unico bersaglio, come una macchina per le radiazioni puntata su un’escrescenza maligna. Quando fosse arrivato il momento, il pulsante sarebbe stato schiacciato.Sapeva che quella era la cosa giusta.E sapeva che avrebbe pianto per il morto.
In Io ti troverò,
forse per la prima volta, un autore presenta la malvagità vestita al femminile:
la figura di Sara Bishop, madre del piccolo Thomas, è tra le più crudeli,
depravate e sconvolgenti della narrativa poliziesca, forse soprattutto per il
suo essere donna, per il suo essere madre.
Le storie dell’orrore che Sara raccontava al bambino si fecero sempre più spaventose e sconnesse: dappertutto c’erano mostri, mostri orrendi e implacabili sotto forma di uomini che distruggevano le donne nei modi più crudeli e orribili (…). Sara afferrava le spalle macilente del ragazzo, mentre la sua furia aumentava, gli agguantava la testa, gli strappava i capelli, lo prendeva a pugni, lo schiaffeggiava, lo picchiava. Con gli occhi resi enormi dall’orrore, con la bava alla bocca, urlava, lo castigava, lo minacciava.
È lei la motivazione prima e la ragione ultima del male che
Thomas Bishop coltiva come un cancro dentro sé, è lei che il serial killer
colpisce uccidendo le donne che incrociano il suo cammino.
Fa riflettere la conseguenza di questo fatto: la totale
scomparsa di spessore nelle moltissime donne che si incontrano in questo
romanzo. Le vittime di Bishop, le amanti dei vari personaggi protagonisti,
perfino le amiche delle donne uccise sono sempre donne prive di moralità,
intelligenza, elevazione emotiva e mentale. Sono donne-fantoccio o donne
arrampicatrici sociali, in cerca di soldi e successo, che usano il proprio
corpo e il sesso per raggiungere scopi tutt’altro che edificanti.
Aveva deciso che parlare con una donna era meglio che farlo da solo. Le spiego il suo dilemma, in termini ipotetici, naturalmente. Lei fu lusingata dalle sue confidenze (…). Lo comprese perfettamente. Quando lui ebbe finito il suo lungo monologo su un uomo superiore combattuto tra desideri contrastanti, lei gli sorrise dolcemente e gli disse che la soluzione era davvero molto semplice. Doveva solo lasciarsi andare e fare ciò che doveva.Lei aveva vent’anni.Lui rimase a guardarla e non rispose.Più tardi, (…) Finch giunse finalmente a una conclusione. Qualunque fosse il problema, non avrebbe più provato a parlare in modo intelligente con una donna. (…) Non ne valeva proprio la pena.
Non che gli uomini se la cavino meglio, con il loro cinismo
e la spietata e consapevole amoralità, ma si assiste a una dicotomia insanabile,
in cui le donne sembrano creature meno umane degli uomini, figure aliene
idealmente partorite dalla crudeltà gratuita di quella prima donna che apre il
romanzo: Sara Bishop. In un certo senso, l’intero romanzo è distorto dalle
lenti con cui lo stesso Thomas Bishop guarda il mondo, quasi a suggerirci un
elemento razionale (…e perfino giustificatorio?) dietro la sua pazzia omicida.
Prendendo coscienza di questa verità, che è lampante fin
dall’inizio e accompagna il lettore come indimenticabile memento, non si smette mai di vedere in Bishop (neanche nei momenti
della sua violenta follia) il bambino maltrattato, frustato, torturato e
spaventato, provando una pena di cui ci si pente, ma che non si riesce a
estirpare del tutto dal proprio cuore.
Barbara Merendoni