La valle delle bambole,
di Jacqueline Susann
Sonzogno, 2016
Traduzione di M. P. Ricci Dèttore
Collana Bittersweet
pp. 523
€19 (brossura)
A una prima occhiata La valle delle bambole sembra essere l’ingrediente principale di una ricetta per romanzetti rosa, ideale per scatenare le pruriginose curiosità di casalinghe annoiate: nel 1945 a Manhattan Anne, la provinciale arrivata a New York per ribellione, si innamora perdutamente dell'uomo sbagliato; Neely, la cantante di umili origini, si ritrova stritolata nell'ingranaggio dello star system e diventa la caricatura di se stessa; Jennifer, schiava del suo bellissimo corpo, cerca un uomo che ami la sua anima dimenticando l’involucro che la contiene. Tre giovani donne, tre amiche intime che per compensare le frustrazioni ingollano senza freno bambole blu, rosse, gialle e verdi, le pastiglie dai colori specifici per aiuti speciali che non offrono consolazione profonda a nessuna di loro.
In realtà la fatuità del libro è solo apparente: i tipi Sonzogno hanno dato alle stampe un testo uscito per la prima volta nel 1966 e che si rivelò immediatamente un caso editoriale da trenta milioni di lettori. Aborto, malattia mentale, classismo, emancipazione femminile - economica e di pensiero - con conseguente indipendenza della donna a scapito della società sessista e patriarcale che ne ha sempre vincolato le scelte, omosessualità, adulterio, arrivismo, corruzione e manipolazione dell'uomo, che viene spesso trattato come un fantoccio o un orpello decorativo, sono tematiche che all’indomani della pubblicazione (così come nel 2016) suscitarono un enorme scalpore, e non si dicono di certo adatte a una lettura distesa.
Tutti parevano convinti che Neely si stesse sottoponendo a una specie di autodistruzione, pure Anne non riusciva a conciliare l’immagine di quella Neely nervosa e tormentata con la ragazzina dagli occhi risplendenti che un tempo aveva abitato sotto di lei nella 52 strada. Quella era la vera Neely. Un giorno quel fantasma creato da Hollywood sarebbe scomparso e la vera Neely sarebbe tornata. Pareva incredibile che una città potesse davvero trasformare davvero le persone.
La trama può interessare come no, a seconda dei gusti ma La valle delle bambole resta il libro-ritratto di un ambiente, di un periodo, di una società, ma soprattutto degli animi femminili. L’autrice è capace di tenere incollati alle pagine di un testamento ideologico ed etico del ruolo della fama e del successo all’interno della società e lo fa non da semplice cronista: non sono pochi i momenti della storia in cui sembra di leggere un'autobiografia (e in effetti la Susann ha provato per tanti anni la strada del cinema prima di approdare alla scrittura). Durante la lettura ci si sorprende a guardare le attrici sul grande schermo o in tv e domandarsi se anche la loro vita continui ad essere come quella narrata da Jacqueline Susann. Spesso (ma forse sempre, chi lo può sapere?) quello che vede il pubblico è solo una facciata, costruita a dovere da agenti e avvocati, che cela un mondo di solitudine, tradimenti, pillole per dormire, pillole per dimagrire (l'aspetto è la cosa più importante già negli anni Cinquanta), pillole per reggere alla fatica, alcol e sigarette in quantità, esaurimenti nervosi e isterismi. Leggendo la storia di Neely e di Jennifer, la mente corre spontaneamente a Marylin Monroe, a Elvis Presley ma anche a Amy Winehouse e Heath Ledger. A quanto pare è sempre molto difficile riuscire a sopravvivere in quel mondo senza perderci l'anima. Gli anni passano, ma ben poco è cambiato.
Nella globalità, nonostante i numerosi meriti del testo, bisogna essere preventivamente pronti ad affrontare una lettura negativa. La valle delle bambole è un libro cinico e ricolmo di dell'infelicità auto-procurata di chi si lamenta continuamente del proprio status, ma che poi si ributta a capofitto nella solita spirale di distruzione come attratto da una magnetica condizione di tristezza. Non sorprendetevi, allora, se il sentimento prevalente nei confronti delle tre protagoniste sia di sovente la rabbia e non la compassione. Senza scadere in eccessi scabrosi o eccellere in una scrittura di elevato livello, La valle delle bambole è nell’insieme, comunque, un’ottima lettura. Già il doppio senso del titolo (nel quale le bambole sono contemporaneamente le dive bionde e svampite del cinema hollywoodiano del periodo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta e il nome in codice delle pasticche multicolori delle quali tutte le donne protagoniste di questa storia, prima o poi, finiscono per essere schiave) impone una profondità non scontata all’intera storia che, tuttavia, subisce un forte rallentamento soprattutto nella seconda parte del romanzo, quando la Susann si perde nei "tecnicismi" dello spettacolo, proponendo troppi elementi di contorno (come i problemi attinenti i contratti o le controversie legali, senza contare le lungaggini circa il rapporto con gli avvocati) che appesantiscono eccessivamente la trama. Il vero punto di punto di forza, in conclusione, rimane l'importanza delle tematiche in grado di rendere eterno un testo calato in una precisa dimensione storica.
Federica Privitera
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