Di Joshua Ferris
Neri Pozza, 2014
Traduzione di K. Bagnoli
pp. 369
Euro 17,00
Nel giugno del 2010 il New Yorker si apprestava a pubblicare una lista dei venti migliori scrittori sotto i quaranta considerati la punta di diamante del panorama nord americano; tra questi era presente anche Joshua Ferris.
Fra le domande a cui lo sottoposero spicca l’inevitabile quesito sui dubbi del lavoro, sulla difficoltà di considerare la scrittura il proprio mestiere, e la risposta – serrata come tutte le altre – recita: «I have never stopped considering not becoming a writer».
Eppure alla lettura dei numerosi racconti e dei tre romanzi pubblicati non si hanno dubbi sulla sua bravura. L’ultimo sforzo in particolare - Svegliamoci pure, ma a un’ora decente - è l’esempio perfetto di un nuovo modo di fare letteratura, sempre in bilico tra la descrizione di uomini persi e incompresi e un mondo irrecuperabile e ostile.
La contemporaneità è ben delineata con umorismo, con uno scanzonato sguardo all’imperfezione del mondo e alla difficoltà della sia interpretazione.
Se però nei primi due romanzi erano stati ufficio e famiglia a fare da sfondo alle vicende dei personaggi, qui siamo immersi prima di tutto nella mente del protagonista.
Dentista di mezza età, fan dei Red Sox senza speranza di redenzione e convinto ateo, questi sono i caratteri con cui viene presentato Paul O’Rourke.
Un uomo senza segreti, distaccato dagli altri, non riesce ad integrarsi o si integra troppo. In cerca di appartenenza è però dilaniato da un’insoddisfazione perenne.
Ferris dipinge la figura di un individuo che non fa altro che guardarsi allo specchio per cercare di trovare tratti simili a quelli di qualsiasi altro essere umano, ma più guarda, più avvicina lo sguardo, più tutto si fa sfocato.
E se la sua vita corre su binari prestabiliti, il tempo scandito da partite di baseball, la comparsa di un suo alter ego online distrugge ogni apparente tentativo di compostezza.
Lo costringe a confrontarsi con una distorta versione di sé. Una versione che non ha dubbi, fedele alle proprie credenze, stoicamente radicata nella propria interpretazione della verità.
Allora la ricerca della felicità, il rapporto con la religione e l’altro, assumono un ruolo centrale che felicemente sfugge alla banalità grazie alla scrittura di Ferris.
Oscilla tra il sarcasmo pungente alla Woody Allen e un ludico sperimentalismo a tratti simile a Saramago.
Un romanzo questo che risente di tutta la tradizione comica newyorkese, che non lascia spazio a ripensamenti, una storia che fa della vita moderna una mastodontica lotta tra l’attaccamento a sé stessi e la necessità di essere parte di qualcosa.
Alla fine chi non ha mai finto di apprezzare cose che odia solo per fare colpo? Chi non ha mai taciuto per non offendere? Chi non ha mai annuito solennemente a qualche commento ridicolo?
Non c’è scampo, e se proprio non si capiscono le regole del gioco, se dentro il circo della società non sai muoverti, allora per cambiare la tua vita basterebbe usare il filo interdentale.
Perché qualche strumento per non rovinarti a volte si può stringere in mano.