Tre camere a Manhattan
di Georges Simenon
Adelphi, 2015
Traduzione di Laura Frausin Guarino
pp. 190
10 €
«È uno dei rarissimi libri che abbia scritto a caldo. E
questo mi faceva paura». Così descrive Georges Simenon, il grande autore belga padre del celebre Maigret, uno dei suoi romanzi più vibranti, Tre camere a Manhattan. Ispirato dal tormentato rapporto sentimentale dello
scrittore con Denyse Ouimet, sua seconda moglie, il libro riflette alla
perfezione l’aura di dolorosa coscienza nei confronti del sentimento; l’abilità
di Simenon nello scandagliare le innumerevoli fasi dell’innamoramento nasce
chiaramente da un’esperienza personale intensa.
François e Catherine, Frank e Kay, come decidono di
chiamarsi reciprocamente, si incontrano una fredda notte a Manhattan, in un
bar. Entrambi non potrebbero essere più soli: non hanno un partner, non hanno
più amici, non hanno un lavoro. Guardano con rimpianto a un passato colmo di
successo e trionfi. Dolce e impulsiva lei, ritroso e burbero lui, Kay e Frank
decidono di trascorrere quel che resta della notte insieme, e da quel momento
risulta impossibile per loro separarsi l’uno dall’altra, anche solo per qualche
ora.
Che cosa avrebbe fatto se, al ritorno, avesse trovato la camera vuota?
Quell’idea gli era appena balenata che già lo faceva star male, e lo gettava in un tale stato di smarrimento e di panico che si voltò bruscamente per assicurarsi che nessuno stesse uscendo dall’albergo. (p. 52)
In poche, decisive giornate, i due protagonisti vedono il
loro amore nascere e crescere, in un’iperbole drammatica che ha le sue tappe
decisive in tre camere a Manattan: quella dell’albergo Lotus, dove si rifugiano
la prima notte, quella di Kay, dove vanno a recuperare gli effetti personali
della donna prima del suo trasferimento da Frank e quella dell’uomo, l’ultima,
dove si vivono i momenti fondamentali del sentimento.
Era come un gioco, un gioco molto eccitante. Quella era la terza camera in cui stavano insieme, e in ognuna di esse lui scopriva non solo una Kay diversa, ma nuove ragioni per amarla, e un nuovo modo di amarla. (p. 111)
In questo fuoco che si accende in fretta e riscalda a lungo,
Simenon sembra rivelarci la sua personale definizione dell’amore: ciò che pone
fine a un’esistenza solitaria, la forza contraria, la sua elisione. Attraversiamo
Manhattan in interminabili passeggiate assieme ai protagonisti, cammini che
hanno il senso della disperazione e della solitudine poiché animati
principalmente dall’incapacità di tornare a casa, di riprendere il filo di un’esistenza
che si desidera allontanare.
Quella mattina, nel freddo pungente di un’alba d’ottobre, si sentiva come uno che ha tagliato i ponti con tutto, uno che, alle soglie dei cinquanta, non è più legato a niente, né a una famiglia, né a una professione, né a un paese, e neppure, tutto sommato, a un domicilio: a nient’altro, insomma, che a una sconosciuta addormentata nella camera di un albergo più o meno equivoco. (p. 50)Tre camere a Manhattan è un lungo monologo interiore, attraverso cui si mette a nudo l’anima di un uomo brutalmente ferito dalla vita, riluttante a lasciarsi andare, scoprendone persino i lati più meschini: la gelosia retrospettiva, le convinzioni maschiliste, le debolezze carnali.
Analizzando la scrittura di Simenon, e rilevando il
frequente uso di espressione come “lui lo sapeva”/ “lo capiva”/“era sicuro che
lei…”, il lettore giunge a una verità assiomatica, su cui troppo poco si
riflette: in definitiva, l’amore non nasce;
si riconosce.
Perché è così che ci si innamora: all’improvviso, scoprendo
nell’altro una familiarità che stupisce. E consola.
Domani non sarebbero più stati soli, non sarebbero mai più stati soli, e quando lei all’improvviso ebbe un brivido, quando lui sentì, quasi contemporaneamente, una punta dell’antica angoscia ridestarsi e stringergli la gola, entrambi capirono di aver gettato nello stesso istante, senza volerlo, un ultimo sguardo sulla solitudine in cui erano vissuti fino ad allora. (p.188)
Dello stesso autore, puoi leggere le recensioni a: Le finestre di fronte; L'uomo che guardava passare i treni; La camera azzurra; Il piccolo libraio di Archangelsk.
Barbara Merendoni