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#CritiComics - L'ombra venuta dal tempo: Culbard e la fedeltà a Lovecraft

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L'ombra venuta dal tempo
di I.N.J. Culbard
Traduzione di Giorgio Saccani
Magic Press Edizioni, 2016

pp. 120
€ 15.00


Come sempre parte tutto da un sogno. È il 1932 e Lovecraft sogna di risvegliarsi su una lastra di una sostanza sconosciuta, in uno spazio enorme, fiocamente illuminato e colmo di lastre che ospitano corpi coperti da lenzuola. Descriverò questo suo sogno solo l'anno successivo in una lettera indirizzata a Clark Ashton Smith, evidenziando un aspetto molto importante ovvero la sensazione che il mio corpo fosse simile a quello degli essere nascosti dalle lenzuola. È da qui che nasce l'idea per L'ombra venuta dal tempo, racconto che l'autore scriverà tra il 1934 e il 1935 e che diventerà il suo penultimo racconto (escludendo le collaborazioni con altri autori).

Pur non essendo uno dei suoi racconti migliori (come spesso accade c'è un ritmo incerto e una narrazione un poco grossolana), è sicuramente uno di quelli più importanti. L'ombra venuta dal tempo è infatti il tassello successivo a Le Montagne della Follia, che Lovecraft usa per costruire e ripensare la fantastoria del nostro Pianeta, spostando verso il cielo l'origine di tutte le paure e di tutte meraviglie. Più che in ogni altro racconto infatti, qui l'autore riesce infatti a far trasparire il profondo fascino provocato dall'ignoto e dai suoi incubi, quel senso di meraviglia e di terrore che scaturisce dalla tremenda conoscenza della storia del nostro mondo.

La struttura del racconto originale divide sostanzialmente la storia in due parti. Nella prima parte il prof. Nathaniel Wingate Peaslee fa un resoconto dettagliato di tutta la sua vita, dalla nascita al giorno in cui la Grande Razza ha preso possesso del suo corpo, per finire con il racconto del suo risveglio. Da qui in poi il racconto cambia prospettiva e si fa più documentale: il prof. Wingate Peaslee ci rende partecipi delle sue scoperte e arriva a tracciare una dettagliata storia del mondo antico, degli usi e dei costumi delle creature che lo abitavano e descrizioni dettagliate del loro aspetto. Come spesso accade con Lovecraft, questo non è inserito in un contesto d'azione da cui il lettore può estrapolare le informazioni, ma ci viene proposto come se fosse un saggio o un articolo per un giornale scientifico. Il secondo blocco narrativo è invece composto dall'avventura australiana cui il prof. Wingate Peaslee prende parte trascinato dal prof. Boyle. Qui azione e concetti sono ben amalgamati e la lettura risulta essere avvincente e interessante. Nell'adattamento al racconto firmato da I.N.J. Culbard e pubblicato da Magic Press, la struttura del racconto rimane pressoché la medesima, e infatti anche in questo caso è la seconda parte quella più coinvolgente e meglio riuscita. Complice anche la quasi totale mancanza di didascalie (che come sempre ammorba tutti gli adattamenti a fumetti di Lovecraft) questa ultima parte ci cala nelle atmosfere suscitate anche dal racconto. Con un personaggio finalmente muto, Culbard ci descrive l'esplorazione dell'orrore più profondo e arcaico, così totalizzante che a un certo punto le pagine del fumetto diventano nere e inghiottono il personaggio, che Culbard colora con una tonalità leggermente più chiara di quel nero spaventoso.



Culbard dà il suo meglio con questa seconda parte, ma l'impegno che infonde per migliorare la prima parte è anche maggiore. Il fumettista arricchisce il lavoro di Lovecraft rendendo questa prima parte più interlocutoria e dando maggiore rilevanza al figlio del prof. Wingate Peaslee, ma non riesce comunque a scrollare di dosso alla storia la natura originale da grande prologo alle vicende che chiudono il racconto. Altro discorso la rappresentazione grafica della Grande Razza. Culbard è molto fedele alla descrizione (stranamente dettagliata) che ne fa Lovecraft. Una descrizione però che, nonostante la precisione, non riesce mai a farci immaginare la forma delle creature, come se le caratteristiche fisiche delle creature fossero così lontane da ciò a cui siamo abituati che ci è impossibile restituirne la complessità e l'orrore. Culbard fa del suo meglio, ma togliendo mistero depotenzia anche il potere evocativo della scrittura di Lovecraft.

Quello de L'ombra venuta dal tempo è un adattamento parzialmente riuscito, ma che nei suoi momenti migliori riesce ad amplificare la forza della scrittura di Lovecraft e che paga i suoi difetti nell'eccessiva fedeltà all'originale, cosa che purtroppo azzoppa il ritmo della narrazione e rende meno immediata e coinvolgente la storia.

Matteo Contin
@matteocontin

Tavole riprodotte per autorizzazione della casa editrice