Foto di ©DeboraLambruschini |
25 Ottobre 2016, h 18
La Feltrinelli, Roma
L'occasione era davvero ghiotta: partecipare alla prima presentazione ufficiale di L'estate fredda, l'ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio, ospiti di Einaudi, presso la libreria Feltrinelli di via Appia a Roma. Insieme ad un piccolo gruppo di blogger e giornalisti, infatti, siamo stati infatti invitati pochi giorni fa all'incontro con lo scrittore barese che presentava il suo ultimo lavoro in dialogo con Francesco Colombo (editor) e Paolo Repetti (editor e direttore, insieme e Severino Cesari, della collana Stile Libero di Einaudi). Un incontro davvero interessante, durante il quale la riflessione su temi e spunti di quest'ultimo romanzo si è inevitabilmente intrecciata a considerazioni su politica, magistratura, mafia, attualità e letteratura, e che noi blogger abbiamo avuto il privilegio di poter proseguire insieme a Carofiglio in una chiacchierata informale, di fronte ad un paio di bicchieri di vino, al termine della presentazione. Quello che forse non ci si aspettava è stata proprio la generosità di Carofiglio nel dialogare con noi, i suoi lettori, attento alle domande che gli si ponevano, tra riflessioni sui temi caldi centrali nel libro e qualche momento di leggerezza, conferendo alla lettura da poco conclusa nuovi interessanti punti di vista. Si è parlato di mafia, uso attento della parola e credibilità della narrazione, influenze letterarie e contesto editoriale, romanzo e short story, in un dialogo dal ritmo vivace, prima e dopo la presentazione al pubblico.
Si avverte in questo romanzo un lavoro scrupoloso sulla lingua: come ha sottolineato anche Repetti, la parola si fa viva, emozioni, odori, immagini, sembrano uscire dalla pagina e diventare reali, mediante una scrittura attenta a non dire parole che non siano necessarie. Lo scrittore deve sparire, rivela Carofiglio, e lasciar parlare i personaggi affinché la storia possa svilupparsi secondo la sua natura. Quello che conta di più nella scrittura letteraria sono infatti gli spazi vuoti, quello che non c'è, e proprio in quegli spazi si colloca il lettore, che rende unica la storia perchè la fa sua, la interpreta, ognuno in modo differente:
Lo scrittore che scompare è come un prestigiatore: il lettore non vede il trucco ma se il meccanismo funziona si abbandona alla fascinazione dell'effetto magico
Il discorso su parole e tecniche narrative si concentra quindi sull'uso peculiare della lingua dei verbali, elemento originale e fortemente presente in quest'opera di Carofiglio: proprio i verbali, esempio massimo di neutralità linguistica che, invece, diventano in questa storia - sopratutto nel secondo atto, quello centrale - fondamentali ed espressivi. Una lingua astratta, da utilizzare in una lunga sequenza, e che aspira a diventare lingua letteraria, "strumento di narrazione dell'orrore". Questi verbali narrano quello che è il momento di massima azione, trascinano in maniera ipnotica, sottolinea Colombo, in una sorta di action movie che racconta come si compiono, sul serio, le azioni criminali.
Il dato autobiografico, l'esperienza diretta di Carofiglio come magistrato che ha partecipato a numerose inchieste antimafia è, quindi, un elemento centrale in questo romanzo e getta una luce nuova sul romanzo, mentre l'autore ne legge alcuni passi. Il personaggio stesso del pentito di mafia, i rituali di affiliazione che racconta durante l'interrogatorio, il ricordo degli omicidi, sono elementi tratti dall'esperienza reale e rielaborati sulla pagina, trasformandoli in letteratura. Ma nonostante tutto, quello che Carofiglio ci tiene a sottolineare, il romanzo non indugia più del dovuto in quella che è stata chiama "la pornografia dell'orrore" (Repetti):
Pur nella brutalità del crimine, questa storia non partecipa morbosamente al male. Due temi più di ogni altro richiedono estrema cautela: la violenza e il sesso.
Foto di ©DeboraLambruschini |
E indugiare sul particolare morboso, sulla descrizione dettagliata e poco realistica diviene solo "disgustoso esercizio estetico". La letteratura è tale se non da giudizi, raccontando il bene e il male senza fare sconti all'uno o all'altro, ma non deve esserci per Carofiglio compiacimento estetico nel racconto del male. Si racconta e si dice la violenza quando e quanto è necessario, ancora una volta non una parola di più.
Di contro, il maresciallo Fenoglio, protagonista del romanzo, che non ha nulla del cliché dei carabinieri. Da sempre affascinato "da chi sa attraversare l'orrore senza perdere umanità", Carofiglio ha costruito un eroe gentile, che si caratterizza per mezzo dei gesti, delle parole, più delle descrizioni dettagliate. E risulta reale: il rifiuto della violenza come sterile esercizio di sadismo e che rende Fenoglio un vero duro, positivo e verosimile. Un personaggio che comunque "conosce la paura, ma il dovere sta sopra la paura, perchè il suo ruolo sa cosa comporta" (Colombo).
Repetti esprime ad alta voce una sensazione che tutti noi abbiamo provato leggendo il romanzo:
è abbastanza perturbante sapere che l'autore di questo romanzo è anche stato testimone di cose così agghiaccianti.
E insieme, quindi, ci si interroga su cosa sia cambiato in seguito alle terribili stragi del '92 nella mafia, che secondo Carofiglio ha sicuramente subito un duro colpo ed è mutata, ma non sconfitta, la mafia pugliese fortemente ridimensionata.
Eppure, L'estate fredda non è soltanto un romanzo sulla guerra di mafia, tra invenzione letteraria e fatti di cronaca: è racconto di un momento terribile della storia recente del nostro paese, è intrigo poliziesco in cui la credibilità della narrazione diviene elemento fondamentale, storia intima e privata.
Un dialogo a tutto tondo, interessante e vivace, a cui siamo lieti di aver potuto prendere parte e conservare ancora una volta il ricordo di una bella esperienza.