Harry Potter e la maledizione dell'erede
di J.K. Rowling, John Tiffany e Jack Thorne
Salani, 2016
Traduzione di Luigi Spagnol
pp. 342
€ 19,80 (cartaceo)
- E se divento Serpeverde?- Il sussurro era destinato solo a suo padre, e Harry capì che il momento della partenza aveva spinto Albus a rivelare quanto grande e sincera fosse la sua paura […]- Vorrà dire che la casa di Serpeverde avrà guadagnato un ottimo studente, no? A noi non importa, Al. […]- Non avrà problemi- mormorò Ginny. Harry la guardò e distrattamente abbassò la mano a sfiorare la cicatrice a forma di saetta sulla fronte.- Lo so-.La cicatrice non gli faceva male da diciannove anni. Andava tutto bene.
(Harry Potter e i doni della morte, 2008)
Sono passati diciannove anni per i protagonisti di una delle saghe più famose della letteratura e ben otto per noi loro accaniti lettori. Anni in cui abbiamo riletto i volumi, ci siamo consolati con i libri della biblioteca di Hogwarts (Il Quidditch attraverso i secoli, Animali fantastici: dove trovarli, Le fiabe di Beda il Bardo edite per Salani) e abbiamo, talvolta, apprezzato le trasposizioni cinematografiche. In questi anni, anche l’autrice ha tentato altre strade narrative (ricordiamo, sopra tutti, Il seggio vacante), ma, alla fine, ritorniamo tutti allo stesso punto: sul binario dell’espresso per la scuola più famosa del mondo. Qui apriamo le pagine di Harry Potter e la maledizione dell’erede e ci ritroviamo dove ci eravamo interrotti otto anni fa, questa volta però tra le righe di una sceneggiatura teatrale.
Siamo al binario 9/¾ e la nuova generazione di maghi sta per avviarsi al primo anno di Hogwarts. I più osservati sono, ovviamente, i figli dei protagonisti dell’ultima guerra tra maghi: Albus Severus Potter, così simile al padre, Rose Granger Weasley, figlia dell’attuale Ministro della Magia e Scorpius Malfoy, sulla cui nascita gravano strane ed inquietanti voci. Sono tutti consapevoli dell’eredità familiare e più che decisi ad esserne degni. Albus, in particolare, vive con profonda apprensione il momento in cui il Cappello Parlante designerà la sua casa di appartenenza. Perché tutti i Potter sono Grifondoro, culla dei coraggiosi di cuore: suo fratello James, scavezzacollo come promette il nome, è rosso e oro dalla testa ai piedi. Ma lui, gravato anche dai nomi dei due professori che più di tutti hanno lottato per la sconfitta dell’Oscuro Signore, non si sente come il fratello. Stringere poi amicizia con il pallido Scorpius, così simile a Draco Malfoy, sicuramente la dice lunga sulle sue predisposizioni. Non essere il Potter che tutti si aspettano può portare a pensieri e decisioni avventate, specialmente in un adolescente mago: come, ad esempio, voler riscrivere la storia e cambiare tutto il mondo magico pur sapendo che l’ombra del Male non è mai troppo lontana.
Alla fine della prima teatrale, rappresentata a Londra in giugno, a tutti gli spettatori è stata consegnata una spilla con su scritto “Keep the secret” in modo che non ci fossero fughe di notizie sulla trama di quello che è, nonostante l’impostazione a sceneggiatura teatrale, l’ottavo capitolo della saga. Lodevole scelta visto che tutti abbiamo subito, ai tempi, lo shock di uno spoiler piccolo o grande sulla trama dei romanzi. Per me, per la cronaca, si era trattato del rapporto tra Piton e Lily. Il “keep the secret” non ha funzionato alla perfezione visto che da molto aleggiano dicerie sulla trama, ma si cercherà di restare il più possibile neutrali e non svelare nulla di decisivo, caso mai ci fosse ancora qualche lettore ignaro di tutto.
L’aspettativa era alta. Per i fan accaniti di Harry Potter, la notizia di un ottavo capitolo era stata accolta con gioia, ma anche con ansia perché, si sa, i sequel tendono sempre a deludere. Devo dire che, pur con tutto il piacere di ritrovarmi nel mondo a me così familiare e poter di nuove leggere di incantesimi, pozioni e Giratempo, quest’opera ha lasciato un po’ di delusione.
L’idea era quella sia di vedere cosa ne fosse stato dei protagonisti sia di seguire le mosse della generazione successiva: nel complesso, un ottimo nucleo di partenza. Troviamo Hermione che, proseguendo nella sua sfolgorante e meritocratica carriera, è diventata Ministro della Magia; Ron, divenuto suo marito, un po’ più cialtrone del solito che dirige il negozio di scherzi avviato dai gemelli Fred e George; Ginny cronista di sport per la Gazzetta del Profeta; Harry Direttore dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia.
I figli incarnano, apparentemente, il modello dei genitori. Rose, figlia di Hermione e Ron, è ambiziosa e intelligente come la madre, anche se forse un po’ troppo calcolatrice per i suoi undici anni
ROSE: Al ci dobbiamo concentrare
ALBUS: Concentrare su cosa?
ROSE: Sulle persone con cui vogliamo diventare amici. I miei e tuo papà si sono incontrati sul loro primo Hogwarts Express […] Io sono una Granger Weasley, tu sei un Potter: vorranno tutti essere nostri amici. Possiamo scegliere chi vogliamo.
Albus assomiglia fisicamente al padre e mostra, anche se per motivi diversi, la stessa paura di inadeguatezza che aveva il giovane Harry. Inadeguatezza che cresce per l'inaspettata assegnazione a Serpeverde e alla sua forte amicizia con la persona che mai avremmo pensato: il figlio di Draco Malfoy, Scorpius. Anche lui è fisicamente somigliante al padre, ma decisamente più di buon cuore, tanto da farci dubitare della saggezza del Cappello Parlante nell'assegnarlo alla casa Serpeverde. A sommatoria, Albus non è bravo a Quiddich e non brilla nemmeno per popolarità o risultati scolastici. Ce n’è più che abbastanza per scatenare un epico conflitto padre- figlio. Proprio su questo concetto si incentra tutta la storia. Troviamo Harry che, per quanto considerato salvatore del mondo magico, ha il più fiero avversario tra le mura di casa sua. Mentre gli altri due figli, James e Lily, figure estremamente marginali in tutta la storia tanto da scomparire dopo le prime pagine, rientrano alla perfezione nel mondo plasmato dopo la battaglia di Hogwarts, Albus dichiara di non aver mai chiesto di essere il figlio del ragazzo-che-è-sopravvissuto.
HARRY: mi vorresti morto?
ALBUS: No! Vorrei solo che non fossi mio padre.
HARRY (fumante di rabbia): Be’, ci sono volte in cui vorrei che tu non fossi mio figlio.
Ovviamente, queste cose non si fermano mai ad una sola generazione: inizia così un processo alle figure paterne di Harry, una, quella di James, assente e l’altra, quella di Albus Silente, a dir poco pericolosa
HARRY: Mio figlio sta combattendo battaglie per noi, come io ho dovuto combattere per lei. E io sono stato per lui un padre altrettanto pessimo che lei per me.
Si sfoga con il ritratto di Silente che piange apertamente nel sentirsi rinfacciare gli errori di tutta una vita.
Oltre alla coppia di Potter, abbiamo l’altrettanto rapporto problematico tra Scorpius e Draco. I Malfoy, di per sé non proprio espansivi ed affettuosi, sono gravati da pesanti dicerie ovvero che Scorpius sia in realtà il figlio naturale di Voldermort. La grossa differenza è che, in questa avventura, è il giovane Malfoy ad essere un esempio. Scorpius, orfano della madre amatissima, ha una maturità e una forza d’animo che il giovane e, diciamolo, capricciosissimo Albus, non riesce nemmeno ad immaginare
SCORPIUS: Vuoi fare il cambio con me? La gente ti guarda perché tuo padre è il famoso Harry Potter, salvatore del mondo magico. E guarda me perché pensano che mio padre sia Voldemort […] Sarà sempre Harry Potter, lo sai, no? E tu sarai sempre suo figlio. E lo so che è difficile e gli altri ragazzi sono tremendi, ma devi imparare a conviverci, perché…perché c’è di peggio, va bene?
Esplode esasperato per l'ennesima lamentazione del suo migliore amico. Il rapporto tra i due ragazzi è delicato, sfumato in certi contorni, non controbilanciato, come era accaduto per la generazione precedente, da un terzo elemento che possa equilibrare e far sfogare l’amicizia. Ma proprio per questo risulta saldo, realistico e a tratti molto commovente.
Ok, sì, ma a livello di storia cosa succede? Tutto parte da qui: le avventure di quest’opera non sono dettate dalla necessità, come era avvenuto per Harry e i suoi amici, ma scaturiscono da conflitti personali e dalla psicologia dei personaggi che è resa con grande attenzione. Qui sta il punto di forza di tutta la narrazione e qui anche la grossa debolezza: perché, a conti fatti, la storia non regge del tutto. Posso dire e non dire che, ad un certo punto, entrano in gioco degli universi paralleli, incredibilmente interessanti da esplorare. Tutte le parti in causa, per il bene e per il male, cercano di riscrivere il passato con esiti disastrosi e potenzialmente letali. Ma l’azione non si sviluppa mai pienamente, soffocata dalla vicenda psicologica che, per quanto magistralmente rappresentata, non lascia spazio alle trame bilanciate che i sette precedenti capitoli ci avevano regalato. Non viene lasciato posto nemmeno per alcuni amatissimi personaggi che avremmo avuto piacere di rivedere (il grande assente tra tutti è Hagrid) oppure di scoprire (come nel caso di Teddy Lupin, figlioccio di Harry e figlio degli scomparsi Ted e Lupin).
Nel complesso quindi, un’opera davanti alla quale levare tanto di cappello (Parlante) per l’interpretazione psicologica, ma per la quale si resta delusi dalla trama “magica” sottostante. Chissà, forse a teatro ha reso sicuramente meglio. Oppure, anche se fa più male ancora ammetterlo, forse siamo cresciuti noi: abbiamo un po’ paura di riconoscersi in una generazione di salvatori del mondo magico che, con l’età, hanno acquisito anche tutti quei difetti che non avremmo mai voluto leggere negli eroi della nostra infanzia.
Giulia Pretta