La felicità degli uomini semplici
di AA. Vv.
(a cura di Alain Mabanckou)
66thAnd2nd
trad. di Michele Martino, Cinzia Poli, Nunzia De Palma
pp. 160
€ 18,00
Narrativamente parlando, uno dei binomi più felici è quello tra il gioco del calcio e l'espressione letteraria, soprattutto laddove i due termini tendono a confondersi l'uno nell'altro dando vita a una vera e propria epica contemporanea, per nulla inferiore a quella classica che si manda giù a memoria svogliatamente tra i banchi di scuola. Si pensi, ad esempio, ai maestri sudamericani Osvaldo Soriano e Eduardo Galeano, o agli europei Nick Hornby e Anthony Cartwright, o ancora a quell'indimenticabile cantore, omerico e lombardo a un medesimo tempo, che è stato il nostro Gianni Brera. La felicità degli uomini semplici, antologia di quindici autori africani per altrettanti racconti incentrati sullo sport più popolare al mondo pubblicata da 66thAnd2nd, si inscrive nel solco di questa recente ma già gloriosa tradizione, aggiungendo un tassello importante nel mosaico geografico del calcio globale: il continente africano. Come osserva nella prefazione Alain Mabanckou, curatore della raccolta, l'Africa non è affatto immune dal fascino del calcio, tanto che "noi africani continuiamo a sognare il giorno in cui finalmente un paese del continente nero vincerà la Coppa del Mondo. Per adesso abbiamo avuto solo la gioia di ospitare il mondiale in Sudafrica, nel 2010".
Comune denominatore di questi racconti, invero molto eterogenei per stile e messa a fuoco del loro oggetto principale, è un'idea di calcio che sembra depurata dagli aspetti tanto più collaterali quanto più mediaticamente rilevanti di quel fenomeno globale (e affaristico) che è diventato questo sport negli ultimi decenni; un'idea di calcio, quindi, che ritorna al cuore di quella 'felicità' appannaggio dei soli 'uomini semplici', e che riscopre la sua remota natura di gioco, di sport, senza per questo trascurare gli inevitabili e inestricabili fili che lo legano agli eventi - di portata maggiore o minore che sia - della Storia. Ed è proprio all'insegna di una "riconquista del nostro umanesimo", come scrive ancora Mabanckou in fase introduttiva, che è possibile rinvenire il senso più profondo dell'unione tra calcio e letteratura, nonché l'adeguata chiave di lettura delle pagine che compongono il volume.
Tra una sforbiciata spettacolare e un colpo di petto leggendario, goleade mondiali e tragiche disfatte su campi improvvisati, i quindici autori affrontano, frontalmente o con un taglio obliquo, affidandosi all'ironia o a meditazioni più sommesse, alcuni punti nodali della travagliata storia del continente africano come le segregazioni razziali e classiste, gli scontri etnici e religiosi, le efferate dittature locali, la violenza sulle donne con la loro emarginazione dal tessuto sociale, la dicotomia tra la forma mentis della modernità e le ataviche radici della cultura stregonesca.
Soprattutto, sono i racconti dei congolesi In Koli Jean Bofane e Alain Mabanckou, del sudafricano Niq Mhlongo, della zimbabwese Lucy Mushita e dei nigeriani Noo Saro-Wiwa e Helon Habila, più narrativamente compatti, a spiccare per il connubio più equilibrato tra le sfaccettate manifestazioni del gioco e le ragioni dell'uomo contemporaneo. Leggendoli, si ha la piacevole sensazione - qualcosa di molto vicino alla felicità infantile, in effetti - che il calcio possa essere, ancora e soltanto, un gioco (benché serio, molto serio) praticato in uno spiazzo erboso o fangoso, con due pali di legno a delimitare la porta e uno sciame di ragazzini che corre dietro a un pallone di pezza o, nel più fortunato dei casi, di cuoio.
Soprattutto, sono i racconti dei congolesi In Koli Jean Bofane e Alain Mabanckou, del sudafricano Niq Mhlongo, della zimbabwese Lucy Mushita e dei nigeriani Noo Saro-Wiwa e Helon Habila, più narrativamente compatti, a spiccare per il connubio più equilibrato tra le sfaccettate manifestazioni del gioco e le ragioni dell'uomo contemporaneo. Leggendoli, si ha la piacevole sensazione - qualcosa di molto vicino alla felicità infantile, in effetti - che il calcio possa essere, ancora e soltanto, un gioco (benché serio, molto serio) praticato in uno spiazzo erboso o fangoso, con due pali di legno a delimitare la porta e uno sciame di ragazzini che corre dietro a un pallone di pezza o, nel più fortunato dei casi, di cuoio.
Pietro Russo