di Marco Ferrante
Giunti, 2016
pp. 352
€ 16 (cartaceo)
«L'attualità macina tutto, basta non restare fermi e in rete tutto si dimentica» (p. 196).
Prendete il mondo di apparenza e solitudine estrema de La grande bellezza, shakeratelo con il sale degli scandali, le spezie della politica corrotta e una spruzzatina di escort; aggiungete abbondanti tradimenti, drammi famigliari q.b. e una dose doppia di uomini a dir poco egoisti e misogini. Se spolverate il tutto con carati di Bulgari, avete ottenuto la ricetta base del gin tonic secondo Marco Ferrante.
Nel suo romanzo l'eccesso è alla base di ogni pagina, così come il menefreghismo dei vari componenti della famiglia Misiano: viziati e ricchi da generazioni, affrontano con una scrollata di spalle e un indefinito senso di tristezza la fine delle loro relazioni, matrimoniali ed extra-coniugali. Molto più immediato, invece, il bisogno di vedersi riconfermare l'incarico parlamentare o apparire bene in tv, soprattutto agli occhi di Elsa Misiano, mater familias controversa e ingenerosa, arpia balzana per la sua servitù, punto di riferimento da accattivarsi continuamente per i figli. Pur sapendo che Elsa non darà mai piena approvazione, né loderà veramente uno dei suoi figli.
Intanto la vita scorre come una sorsata più o meno acida di cocktail: le mogli tradite non sono quasi mai vittima della situazione, ma sanno esattamente come cavarsela, riscattandosi e approfittando delle rendite dei mariti, spendaccioni e dall'alto tenore di vita. Anche le amanti non se la passano male e riconfermano tanti stereotipi: gravidanze-capestro, richieste che si fanno quasi ricatti per una collana di Bulgari da 34.000 €, pretese raccomandazioni di lavoro...
Qualche volta, le situazioni si ripetono quasi in parallelo (non possiamo dirvi quali, per non deludere l'attesa), a dimostrare che - come nel vizio dell'alcol - fatto un brindisi, se ne fa subito un altro. Non importa con chi, basta che il liquore sia di qualità sopraffina, per potersene vantare. Peccato che spesso questi drink si facciano via via più insoddisfacenti e, per quanto intrisi di sensazionalismo e brividi, non appaghino mai del tutto e lascino un post-sbornia amaro.
Il narratore, da parte sua, si mantiene particolarmente sobrio: osserva la realtà circostante con il passo scaltro della cronaca, qualche volta giocosa e ammiccante verso il lettore. Muovendosi nell'atmosfera fintamente privilegiata dei suoi protagonisti, delinea la loro vuotezza con frasi brevissime, quasi singhiozzi, che lasciano intuire dietro una scrittura giornalistica asciuttissima quanto poco si possa commentare sulla scialba vanità dei personaggi. Insomma, Ferrante non si risparmia e non ci risparmia: qualche volta apre parentesi sui gusti di questo o quel personaggio, ma per primo commenta - voce fuori campo - l'inutilità di quel paragrafo ai fini della trama: eppure sono queste le parti più riuscite, quelle che staccano forzatamente i personaggi dal bancone di un bar fin troppo noto e li caratterizzano per fissazioni, paure, aspettative.
"Anche i ricchi piangono", potremmo commentare qua e là; ma poi dovremmo aggiungere: "sì, ma piangono per poco e sanno subito come consolarsi", a costo di irretirsi, di mettere a tacere la voce più profonda che sentono. Non ne emerge un romanzo scanzonato e ironico o satirico che dir si voglia, ma una sorta di cronaca feroce, in cui non c'è possibilità di redenzione, ma solo vuoto. E alla fine, con un po' di mesta amarezza, viene voglia di brindare con un gin tonic alla nostra vita: immensamente più povera di carati e case al mare, ma estremamente più ricca di autenticità.
GMGhioni
Intanto la vita scorre come una sorsata più o meno acida di cocktail: le mogli tradite non sono quasi mai vittima della situazione, ma sanno esattamente come cavarsela, riscattandosi e approfittando delle rendite dei mariti, spendaccioni e dall'alto tenore di vita. Anche le amanti non se la passano male e riconfermano tanti stereotipi: gravidanze-capestro, richieste che si fanno quasi ricatti per una collana di Bulgari da 34.000 €, pretese raccomandazioni di lavoro...
Qualche volta, le situazioni si ripetono quasi in parallelo (non possiamo dirvi quali, per non deludere l'attesa), a dimostrare che - come nel vizio dell'alcol - fatto un brindisi, se ne fa subito un altro. Non importa con chi, basta che il liquore sia di qualità sopraffina, per potersene vantare. Peccato che spesso questi drink si facciano via via più insoddisfacenti e, per quanto intrisi di sensazionalismo e brividi, non appaghino mai del tutto e lascino un post-sbornia amaro.
Il narratore, da parte sua, si mantiene particolarmente sobrio: osserva la realtà circostante con il passo scaltro della cronaca, qualche volta giocosa e ammiccante verso il lettore. Muovendosi nell'atmosfera fintamente privilegiata dei suoi protagonisti, delinea la loro vuotezza con frasi brevissime, quasi singhiozzi, che lasciano intuire dietro una scrittura giornalistica asciuttissima quanto poco si possa commentare sulla scialba vanità dei personaggi. Insomma, Ferrante non si risparmia e non ci risparmia: qualche volta apre parentesi sui gusti di questo o quel personaggio, ma per primo commenta - voce fuori campo - l'inutilità di quel paragrafo ai fini della trama: eppure sono queste le parti più riuscite, quelle che staccano forzatamente i personaggi dal bancone di un bar fin troppo noto e li caratterizzano per fissazioni, paure, aspettative.
"Anche i ricchi piangono", potremmo commentare qua e là; ma poi dovremmo aggiungere: "sì, ma piangono per poco e sanno subito come consolarsi", a costo di irretirsi, di mettere a tacere la voce più profonda che sentono. Non ne emerge un romanzo scanzonato e ironico o satirico che dir si voglia, ma una sorta di cronaca feroce, in cui non c'è possibilità di redenzione, ma solo vuoto. E alla fine, con un po' di mesta amarezza, viene voglia di brindare con un gin tonic alla nostra vita: immensamente più povera di carati e case al mare, ma estremamente più ricca di autenticità.
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