Dal 2001 la terza settimana del mese di Ottobre è dedicata alla nostra lingua: è la Settimana della Lingua Italiana nel Mondo. Un’iniziativa promossa dal Ministero degli Affari Esteri in collaborazione con la Accademia della Crusca. L’obiettivo è far conoscere e apprezzare la bellezza e la ricchezza della nostra lingua in tutto il mondo, o meglio, come si dice nella premessa del volume relativo a quest’anno, per festeggiare l’italiano. Una sorta di grande festa dedicata a ciò che di tanto prezioso abbiamo, da proteggere e diffondere, con appuntamenti ed eventi ad ogni latitudine.
Ogni anno viene scelto un tema: la musica, l’editoria digitale, l’innovazione. Il 2016 vede come fulcro della manifestazione la creatività, i marchi, la moda e il design - fiori all’occhiello della nostra produzione industriale che ci rendono famosi e apprezzati in tutto il mondo – dal punto di vista, naturalmente, della lingua. L’Accademia della Crusca ha in questa occasione pubblicato un prezioso volume, a cura degli Accademici Paolo D’Achille e Giuseppe Patota, linguisti di un’importanza incommensurabile, e lo rende disponibile gratuitamente in formato digitale proprio lungo tutto l’arco della Settimana: un’iniziativa quanto mai formidabile e un bellissimo regalo per noi. Critica Letteraria ha avuto il piacere di leggerlo in anteprima, con l’entusiasmo di chi ama la nostra lingua, di chi ne ha studiato la storia, e vede in questa occasione un’imperdibile opportunità di conoscenza e arricchimento.
Il libro, dal titolo L’italiano e la creatività: marchi e costumi, moda e design è l’insieme di contributi di linguisti, docenti di cattedre di Linguistica Italiana e Storia della Lingua negli atenei di tutta Italia, ma anche di editor, giornalisti e esperti del settore della moda (per esempio sarti e costumisti che hanno lavorato al fianco di Zeffirelli), in un amalgama che riesce ad approcciare il tema da vari punti di vista: le tracce della nostra lingua nel mondo della moda e del design, con in nomi ormai noti dappertutto (la Vespa è conosciuta in tutto il mondo come tale), i marchionimi italiani (che dire della Ferrari, allora), la lessicografia del campo della sartoria di scena.
A fronte di un mondo ormai quasi sempre più “inglese”, le parole italiane continuano ad avere una risonanza importante in questo ed altri settori. Prendiamo per esempio il nome design. Il contributo di Gabriella Cartago, docente di Storia della Lingua Italiana a Milano, da subito chiarisce le ragioni di una scelta: perché porre il termine “design” nel titolo del volume. Ma come, si chiederanno i più, un libro creato per celebrare l’italiano ha un termine straniero in copertina? Ebbene, la risposta è lampante: se il design è, culturalmente, molto milanese, la parola “design” è, anagraficamente, molto italiana. La parola design si afferma sì in Inghilterra negli anni della Rivoluzione Industriale, ma lì approda dalla nostra penisola (con una tappa intermedia in Francia), come evoluzione del nostro disegno, grazie al prestigio della nostra arte e trattatistica rinascimentale.
Via libera quindi a tutti i termini italiani legati al Made in Italy, che dagli anni ‘40 sono noti in tutto il mondo. Si tratta di marchionimi, nomi propri o comuni con cui è noto in commercio un determinato prodotto o il nome dell’azienda che lo produce. Ovviamente il primo ambito a cui fanno riferimento è quello della enogastronomia (su 65 lingue tra le più importanti per storia e tradizione o per numero di parlanti pizza è presente in 60 lingue, ma poi anche spaghetti, cappuccino, espresso, tiramisù e l’inimitabile Nutella la cui storia linguistica è strabiliante e da leggere a pagina 36…) ma subito dopo troviamo quello del design e della moda, passando per il settore automobilistico: dalle Vespa alla Lamborghini, a Olivetti, e infine le famose case di moda. Potremmo definirli nomi-garanzia, antroponimi o toponimi o parole di lessico che identificano l’Italia e la richiamano in modo suggestivo e illustre.
Arriviamo così alla moda e al saggio di Giuseppe Sergio, una carrellata mirabile della storia della moda italiana del mondo, dal ‘400, al Fascismo, ad oggi con particolare attenzione, chiaramente, al contestuale viaggio delle “parole italiane della moda” nel mondo. Così come la nostra cucina ha reso in tutte le lingue comprensibile e utilizzata la parola pizza, parimenti è avvenuto con la moda. Un solo esempio, a fronte dei tanti riportati nel volume: i pantaloni palazzo si ritrovano nell’inglese palazzos e nel tedesco Palazzohose, (e da dove viene la stessa parola pantalone, presente con le dovute modifiche nell’inglese, spagnolo, tedesco, olandese, polacco, danese e perfino nel giapponese, se non dal veneziano Pantalon – celebre maschera della Commedia dell’Arte?). E se è vero che la moda oggi parla sempre più spesso inglese (per via della globalizzazione certo, ma anche per i nuovi fenomeni del fashion blogging e dello street style) la matrice italiana resta sempre presente.
Altro ambito in cui la lingua italiana conserva un posto d’onore e prestigio internazionale è il teatro e la costumistica di scena. Si pensi alla Casa d’Arte Cerratelli che ha realizzato oltre 30 mila costumi di scena per i più importante registi e ha salvaguardato tramite la sua Fondazione, oltre che i mestieri dell’arte legata alla sartoria, i termini del lavoro sartoriale per sottrarli alla fiumana del progresso che li avrebbe cancellati: Inquartata, carmagnola, bombetta, pettino, goletta, pagliaccetto, fusciacca, plissettato, passamaneria, goldoniana, farsetto, turbante, cilindro, bustino e molti altri ancora. Un campo di studi di enorme ricchezza lessicale e terminologica, che D’Achille ha analizzato concentrandosi sulle denominazioni di stoffe e colori, con l’idea di scovare mutamenti di significato, possibili neologismi, termini non presenti su alcuno dei dizionari. Pensiamo alle mille sfumature di rosso che la nostra lingua è in grado di nominare, dal borgogna al corallo.
Insomma, abbiamo un universo enormemente ricco e complesso di parole legate al mondo della moda e del design, molte delle quali usate e note in tutto il mondo, altre più settoriali e meno conosciute. Questa settimana è un’occasione per celebrarle e riscoprirle, partendo da una solida certezza: la nostra lingua è più che mai attuale e rigogliosa, forse è anche trendy o à la mode, ma io preferisco dire semplicemente viva.
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