Una lettura
attenta di Aristeia, raccolta di
poesie curata da Fulvio Gridelli, permette al lettore di entrare in una
dimensione poetica che attinge sia da quadri memoriali biografici dell’autore a
contatto con la propria terra natia, sia dai racconti che rinviano all’oralità
e alla mitologia classica. Ogni lirica rappresenta un enunciato in sintesi di
un blocco narrativo dove lo scrittore si colloca o si trova in uno stato di
osservazione, in uno spazio tempo suggestivo: dalla nebbia di Atlas, alle dodici galassie dell’universo, al paesaggio
innevato, al recinto sull’apriche zolle, al Golgota arcano, al giardino dal glicine vetusto si dipana una
storia narrata che ha un incipit e una fine. Il mito è un racconto sacro ed
esemplare che riferisce un avvenimento del tempo primordiale e fornisce
all’uomo un senso determinante per il suo comportamento. Per la sua funzione
simbolica, il mito svela il legame dell’uomo con il sacro. Molte liriche
presentate in questa silloge si innestano proprio sul connubio tra vita e
sacralità mitologica.
Nella seguente
poesia, Arco d’elettro, la
congiunzione iniziale introduce il lettore in una narrazione che prende il via
dopo un’attesa crescente di ardore guerresco.
Il calore e la luminosità della prima luce, foriera del giorno, diviene
prodromo di un episodio che vede protagoniste le azioni legate all’arco d’ambra
gialla antico. Di lieve spettro e
trasfumato velo, l’arco non è guidato da un umano ma da mano divina. È un
arco di pura materia che dall’astro solitario al cielo arriva
curiosamente silente sui templi in maceria e che continua il suo
viaggio su mete inimmaginabili, lasciando in sospeso le risposte terrene.
E quando
arde la gran palla in fasce,
ancor di
fuoco nell’umido stampo
sparse le
forme, in luce rinasce,
l’alborea
foggia d’elettro in lampo:[…]
E fu, dal
pugno non terrestre un arco,
di lieve
spettro e trasfumato velo;
riposto in
solco, qual superno varco,
com’ermo
astro semicurvo al cielo
piegò
silente sui templi in maceria;
piegò
silente qual pura materia.
Il mito è da sempre portatore di un linguaggio e di un
messaggio che rinvia alla condizione umana. L’uomo coglie con sorpresa la luce
del lampo e immerso tra le consuetudine del mondo contadino si arresta quasi
per beneficiare del fascio di luce. Il quadro agreste si arricchisce di significati
ultraterreni: l’obiettivo dell’arco è crudele perché va a colpire proprio il
braccio dell’uomo, monco e infermo
all’appiglio. È il fato spietato che scaglia con brutalità la sorte avversa
pescando dall’universo umano la vittima innocente.
E quando
rivedrai sul campo agreste,
quella luce
che dall’arcano sferra?
Il colono
non sa: a ogni gir celeste,
sgobba
ricurvo sulla negra terra;
E allor
misero, gli casca il braccio,
monco
tramuta e infermo all’appiglio,
con dentro
un male che ritorce il ghiaccio;[…]
Nella
raffigurazione poetica mito e ritualità sono congiunti; il rituale permette la
ricreazione del mito, un ritorno alle origini e alla creazione: in questo modo
esso diventa generatore di nuove forze. L’uomo indifeso è più attaccabile;
soffre, patisce e affronta il destino infausto. Le strofe finali bene
tratteggiano la disparità tra l’universo ideale mitologico e il mondo terreno:
l’epiteto finale rivolto agli Immortali,
vincitori immorali e ingiusti sugli uomini divenuti carni da spaccio per gli eterni chiostri, segna un’incomunicabilità
eterna tra i due mondi e una presa di coscienza superiore divina esauriente per
il fato, ma che lascia interdetto e inerme l’uomo.
E voi
Immortali, che ebbri ancor brindate,
radiosamente
onniscenti sui dischi:
niente
sappiamo dell’ultima etate.
Qui l’occhio
oltre non va, i vostri obelischi;
qui vanno
all’abbandono i figli vostri;
carni da
spaccio per gli eterni chiostri.
La seguente
lirica presenta invece un quadro metafora sulla ciclicità della vita in cui la
situazione esistenziale della figura anziana viene associata all’immagine del
vecchio glicine che non emana più il profumo intenso dei suoi fiori, ma offre
il proprio magro aroma estivo ai raggi d’oro mattutini e schiude la perla di farfalle viola. Il
vecchio è giunto al termine del proprio viaggio irregolare, come possono essere
i percorsi di vita più disparati, di chi ha cercato affannosamente qualche
brandello di felicità, o al contrario di coloro che sono consapevoli di aver
avuto e beneficiato molto dalla vita.
Ora
l’anziano si trova in una situazione fisica disagevole; il suo appoggio vacilla, ma
non cede, come il glicine vetusto, che continua ancora ad adornare fra mezzo la ferrata. L’accostamento precisa le particolari
condizioni limitative dei due esseri. Trema
quel vecchio perché ha davanti le
scale e tentenna con le gambe al gradone. Il concetto identitario tra
glicine e il vecchio si precisa nel distico finale quando anche il glicine nato sul viale stringe l’intrico nel
saldo spuntone.
Il vecchio e
il glicine
Di magro
aroma sparso ai raggi d’oro
schiude la
perla di farfalle viola,
al mattutin
soffio caldo e canoro.
È il glicine
vetusto, che adorna
Fra mezzo la
ferrata; quando svola
il bombo,
che qui frulla: lì va, or torna.
Torna anche
un vecchio al fin d’un viaggio; ei vede:
il suo
appoggio vacilla, quando il gambo
attorce in
nodi al ferro; e non cede,
qual scabro
osso, nella morsa strambo.
Trema quel
vecchio: ha davanti le scale;
va
tentennando le gambe al gradone;
nel mentre
il glicine, nato sul viale,
stringe
l’intrico nel saldo spuntone.
Il tema del viaggio per mare è una ricorrente metafora
letteraria poetica: l’uomo di mare vaga da un lido ad un altro consapevole che l’incertezza della precarietà
della sua vita si scontra con l’attesa statica e dolorosamente imposta alla
propria donna. Il titolo, Altri lidi, diviene esplicativo rispetto alla
lontananza forzata, ma intensamente voluta dal protagonista, uomo di mare
itinerante, che non ha una meta prefissata e vive con intensità il momento di
distacco dalla propria amata. Con le mani
strette in riva al porto egli si stringe alla donna e, prima di muover le
vele verso altri luoghi, si sente un uomo
risorto. L’enfasi dell’uomo rinsalda il legame amoroso che consente la
ripartita verso nuove mete.
Altri
lidi
E con le
mani strette in riva al porto,
poi che nel
bacio si sparse il tuo miele,
ecco
sentirmi un uomo risorto;
mosser le vele.
Sembra esserci un legame tra cielo e terra, tra le onde gravitazionali e il volger d’ali
tra le stelle, tra il disorientamento umano vissuto nello spazio infinito
del mare e il ricordo della vita mondana lontana
dal presente, tra le finte certezze umane e lo smarrimento nell’affrontare i
turbinii della vita.
All’improvviso una luce improvvisa, luminosa, dà un chiaro
segnale di riavvicinamento dell’uomo con la propria patria terrena. Se il mare
fino ad allora poteva essere il luogo di custodia sicura o al contrario il
posto dell’inquietudine, il ritorno al lido
coniugale riecheggia come tamburo dall’eco superno…al soffio eterno. Il
suono di antica mitologia che apre la porta celestiale è il segnale del lascito
tra il mondo reale e l’ universo celestiale intessuto di richiami leggendari.
Colsi le
onde gravitazionali
Formicolare
ai pori della pelle
Resse lo
spirito volger le ali
Su tra le
stelle.
Scorsi
esplosiva una luce lontana,
e la paura
dell’uomo smarrito;
nel mare,
dentro, la vita mondana
fronte un
marito.
Udii la
porta celeste tonante,
e alto il
tamburo dell’eco superno;
vidi
l’argilla, agir suscitante,
al soffio
eterno
Tutte le
composizioni poetiche sono costruite e fissate dalla tradizione in formule
metriche: l’autore presta molta attenzione alle rime, alle allitterazioni alla
combinazione fonica tra assonanze e consonanze. Le immagini “raccontano”,
descrivono o narrano testi che si potrebbero adattare alla gestualità teatrale
e vi si legge, in filigrana, una solida conoscenza classica che in questo caso
si coniuga con la libertà di creare. Il
poeta oggi è uno sventurato che non vive la sua epoca, afferma l’autore. Il
poeta in questo caso, si esprime attraverso fattori e impulsi emotivi che
riflettono archetipi interiori, il poeta è colui che avverte più degli altri la
forza profonda dei simboli della natura, dell’essenza e del significato che
egli attribuisce a ciò che lo circonda.
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