La stoffa delle nazioni.
Storie di bandiere
di Bruno Cianci
Prefazione di Alessandro Marzo Magno
Odoya, 2016
pp. 319
Euro 22,00
Se siamo tutti d’accordo che per essere una “nazione” bisogna averne la “stoffa”, vale la pena di intendersi sul significato reale e metaforico di questa espressione. In un certo senso, è proprio questo quello che ha cercato di fare Bruno Cianci, giornalista e scrittore ma soprattutto grande appassionato e collezionista di vessilli, nel suo La stoffa delle nazioni. Storie di bandiere, appena pubblicato per la casa editrice Odoya: un saggio lungo che spiega l’origine, l’evoluzione e il significato dei più importanti drappi nazionali, e che attraverso eventi storici capitali e più modesti aneddoti, complesse simbologie e accordi cromatici, aiuta a comprendere l’importanza di quelle che, specialmente nella temperie schizofrenica del rifiuto oltraggioso e della rivendicazione oltranzista, sono ben altro che semplici bande di tessuto utili a disambiguare tra loro gli Stati. Cianci conduce dunque il lettore alla scoperta dell’ontologia e della "biografia" delle singole bandiere, spiegando per oltre 300 pagine «la funzione aggregatrice svolta nel corso delle lotte per l’indipendenza, il ruolo ricoperto in tempo di pace, in guerra, nei giorni di festa e nella vita di tutti i giorni da questi drappi di stoffa dal valore intrinseco irrisorio e dal valore simbolico inestimabile».
Suddiviso in dieci capitoli che raggruppano le varie bandiere nazionali in insiemi e sottoinsiemi – vere e proprie “famiglie” all’interno delle quali si evidenziano i frequenti rapporti di derivazione e dipendenza – lo studio di Cianci conquista innanzitutto gli appassionati di storia: la ricostruzione delle vicissitudini dei singoli drappi, difatti, non può prescindere dagli avvenimenti legati agli assetti in senso lato politici e bellici dei vari Paesi, con un’apertura dell’arco temporale che va dalla fondazione o dalla raggiunta autonomia degli Stati fino alla più recente contemporaneità; il che, se da una parte può risultare un po’ scolastico e sicuramente impegnativo per il lettore, specie per quello inesperto – che però trova conforto in un Glossario essenziale, in un Indice dei nomi e in una Bibliografia minima di riferimento, utile per auspicati approfondimenti autonomi – dall’altra affascina perché è proprio attraverso la ricostruzione degli eventi che viene disvelato il grande valore ideale/ideologico e rappresentativo dei vari vessilli. Lo stile dell’autore, d’altra parte, rifugge programmaticamente i toni accademici, e si avvantaggia dell’inserimento di interessanti aneddoti che fanno somigliare l'insieme della trattazione a una raccolta di brevi ma appassionanti racconti, tra loro intrecciati e con la capacità di far riflettere sugli scenari geopolitici attuali.
Si scopre così che la Senyera catalana è la prima bandiera nazionale mai esistita, ma anche che, a tutt’oggi, è priva di un vero e proprio Stato riconosciuto; si prende atto dell’importanza del Dannebrog, ovvero del “panno danese” caduto secondo leggenda dal cielo, che ha influenzato tutte le bandiere dell’area scandinava e baltica; ci si addentra poi nel Novecento più nero e più rosso nel ripercorre le evoluzioni delle effigi comuniste e naziste, e in quello non meno complesso e tormentato dei processi postcoloniali; e ancora, dopo avere scoperto la derivazione olandese della bandiere dell’area slava e i legami tra il tricolore francese e tutti gli altri tricolori (quello italiano in primis), si apprende come le bandiere più conosciute e influenti siano l’Union Jack britannico (meglio: l’Union flag, dietro il quale si celano molte “croci”), e la sua diretta discendente oltreoceanica, ovvero quella degli Stati Uniti, le cui Stars and Stripes sono celebrate e magnificate quotidianamente (ma anche liberamente oltraggiate e messe in discussione) dal popolo americano. L’ampio capitolo dedicato alle bandiere dei paesi islamici – Falci di luna garriscono – illumina poi il lettore su come l’effige della mezzaluna (con stella annessa) sia presente non solo in varie zone dell’Asia e dell’Africa, ma anche in Europa (Moldavia e Croazia) e in America, pur senza avere in questi casi attinenza alcuna con l’Islam; questo stesso capitolo, inoltre, rivela il particolare interesse per il Medio Oriente da parte dello stesso Cianci, residente a Istanbul dal 2008 e già autore, sempre per Odoya, di Le navi della Mezzaluna. La marina dell’Impero ottomano (2015).
Una nota a parte meritano, infine, le scelte relative alla gestione delle immagini che corredano il volume. Utilissimi e ben congegnati i due fascicoli interni dedicati rispettivamente alla riproduzione schematica delle Bandiere a colori (quasi tavole scientifiche adatte per la consultazione e la comparazione) e alle Illustrazioni di varia origine riguardanti i vessilli; tra queste ultime – comprensive di fotografie di antiche monete, manoscritti, miniature, manifesti e dipinti importanti (tra cui il bellissimo La Marsigliese, opera del 1880 dell’impressionista francese Jean Béraud) – a catturare lo sguardo è soprattutto l’Union Jack appartenuto all’esploratore polare Sir Wally Herbert, che con la sua estremità lacerata dall’uso porta tutti i segni fisici delle imprese del suo proprietario, e che proprio in virtù delle “ferite” della stoffa in bella mostra ha più efficacia di ogni possibile discorso retorico. Per questo spiace che tutte le altre illustrazioni, ovvero quelle in corpo ai capitoli, optino invece per un mortificante bianco e nero: non solo perché il colore avrebbe accresciuto la praticità di un rimando extra-testuale immediato, ma anche per una piena soddisfazione visiva del lettore, il quale, appassionandosi alla “biografia” di ciascun vessillo, vorrebbe percepirne la ricchezza simbolica e cromatica lungo tutte le pagine di cui si compone questo interessantissimo studio.
Cecilia Mariani
Storie di bandiere
di Bruno Cianci
Prefazione di Alessandro Marzo Magno
Odoya, 2016
pp. 319
Euro 22,00
Se siamo tutti d’accordo che per essere una “nazione” bisogna averne la “stoffa”, vale la pena di intendersi sul significato reale e metaforico di questa espressione. In un certo senso, è proprio questo quello che ha cercato di fare Bruno Cianci, giornalista e scrittore ma soprattutto grande appassionato e collezionista di vessilli, nel suo La stoffa delle nazioni. Storie di bandiere, appena pubblicato per la casa editrice Odoya: un saggio lungo che spiega l’origine, l’evoluzione e il significato dei più importanti drappi nazionali, e che attraverso eventi storici capitali e più modesti aneddoti, complesse simbologie e accordi cromatici, aiuta a comprendere l’importanza di quelle che, specialmente nella temperie schizofrenica del rifiuto oltraggioso e della rivendicazione oltranzista, sono ben altro che semplici bande di tessuto utili a disambiguare tra loro gli Stati. Cianci conduce dunque il lettore alla scoperta dell’ontologia e della "biografia" delle singole bandiere, spiegando per oltre 300 pagine «la funzione aggregatrice svolta nel corso delle lotte per l’indipendenza, il ruolo ricoperto in tempo di pace, in guerra, nei giorni di festa e nella vita di tutti i giorni da questi drappi di stoffa dal valore intrinseco irrisorio e dal valore simbolico inestimabile».
Suddiviso in dieci capitoli che raggruppano le varie bandiere nazionali in insiemi e sottoinsiemi – vere e proprie “famiglie” all’interno delle quali si evidenziano i frequenti rapporti di derivazione e dipendenza – lo studio di Cianci conquista innanzitutto gli appassionati di storia: la ricostruzione delle vicissitudini dei singoli drappi, difatti, non può prescindere dagli avvenimenti legati agli assetti in senso lato politici e bellici dei vari Paesi, con un’apertura dell’arco temporale che va dalla fondazione o dalla raggiunta autonomia degli Stati fino alla più recente contemporaneità; il che, se da una parte può risultare un po’ scolastico e sicuramente impegnativo per il lettore, specie per quello inesperto – che però trova conforto in un Glossario essenziale, in un Indice dei nomi e in una Bibliografia minima di riferimento, utile per auspicati approfondimenti autonomi – dall’altra affascina perché è proprio attraverso la ricostruzione degli eventi che viene disvelato il grande valore ideale/ideologico e rappresentativo dei vari vessilli. Lo stile dell’autore, d’altra parte, rifugge programmaticamente i toni accademici, e si avvantaggia dell’inserimento di interessanti aneddoti che fanno somigliare l'insieme della trattazione a una raccolta di brevi ma appassionanti racconti, tra loro intrecciati e con la capacità di far riflettere sugli scenari geopolitici attuali.
Si scopre così che la Senyera catalana è la prima bandiera nazionale mai esistita, ma anche che, a tutt’oggi, è priva di un vero e proprio Stato riconosciuto; si prende atto dell’importanza del Dannebrog, ovvero del “panno danese” caduto secondo leggenda dal cielo, che ha influenzato tutte le bandiere dell’area scandinava e baltica; ci si addentra poi nel Novecento più nero e più rosso nel ripercorre le evoluzioni delle effigi comuniste e naziste, e in quello non meno complesso e tormentato dei processi postcoloniali; e ancora, dopo avere scoperto la derivazione olandese della bandiere dell’area slava e i legami tra il tricolore francese e tutti gli altri tricolori (quello italiano in primis), si apprende come le bandiere più conosciute e influenti siano l’Union Jack britannico (meglio: l’Union flag, dietro il quale si celano molte “croci”), e la sua diretta discendente oltreoceanica, ovvero quella degli Stati Uniti, le cui Stars and Stripes sono celebrate e magnificate quotidianamente (ma anche liberamente oltraggiate e messe in discussione) dal popolo americano. L’ampio capitolo dedicato alle bandiere dei paesi islamici – Falci di luna garriscono – illumina poi il lettore su come l’effige della mezzaluna (con stella annessa) sia presente non solo in varie zone dell’Asia e dell’Africa, ma anche in Europa (Moldavia e Croazia) e in America, pur senza avere in questi casi attinenza alcuna con l’Islam; questo stesso capitolo, inoltre, rivela il particolare interesse per il Medio Oriente da parte dello stesso Cianci, residente a Istanbul dal 2008 e già autore, sempre per Odoya, di Le navi della Mezzaluna. La marina dell’Impero ottomano (2015).
Una nota a parte meritano, infine, le scelte relative alla gestione delle immagini che corredano il volume. Utilissimi e ben congegnati i due fascicoli interni dedicati rispettivamente alla riproduzione schematica delle Bandiere a colori (quasi tavole scientifiche adatte per la consultazione e la comparazione) e alle Illustrazioni di varia origine riguardanti i vessilli; tra queste ultime – comprensive di fotografie di antiche monete, manoscritti, miniature, manifesti e dipinti importanti (tra cui il bellissimo La Marsigliese, opera del 1880 dell’impressionista francese Jean Béraud) – a catturare lo sguardo è soprattutto l’Union Jack appartenuto all’esploratore polare Sir Wally Herbert, che con la sua estremità lacerata dall’uso porta tutti i segni fisici delle imprese del suo proprietario, e che proprio in virtù delle “ferite” della stoffa in bella mostra ha più efficacia di ogni possibile discorso retorico. Per questo spiace che tutte le altre illustrazioni, ovvero quelle in corpo ai capitoli, optino invece per un mortificante bianco e nero: non solo perché il colore avrebbe accresciuto la praticità di un rimando extra-testuale immediato, ma anche per una piena soddisfazione visiva del lettore, il quale, appassionandosi alla “biografia” di ciascun vessillo, vorrebbe percepirne la ricchezza simbolica e cromatica lungo tutte le pagine di cui si compone questo interessantissimo studio.
Cecilia Mariani