Emilio Casalini |
La mia prima intervista per Critica letteraria: inutile negare la tensione, ma anche l'eccitazione e la frenesia. Per fortuna non potevano capitarmi un libro o un personaggio migliore di quelli che stiamo per introdurvi.
Oggi lasciamo che siano le parole del giornalista, conduttore radiofonico, scrittore e fondatore della casa editrice Spino editore Emilio Casalini a raccontarci "Rifondata sulla bellezza", un libro in cui si riflette con una prospettiva fortemente realista, ma anche molto ottimista, sul perché la nostra amata terra troppo spesso perda l'opportunità di adoperarsi per sfruttare al meglio quello che forse è il suo patrimonio più prezioso: il turismo.
Iniziamo col dire che nel giugno del 2016 hai dato vita alla casa editrice Spino editore. Sulla home page del sito si legge: "L'idea (...) di Spino editore è quella di accompagnare gli scrittori lasciandoli liberi da strutture editoriali troppo vincolanti (...)". Come è nata questa idea?
Questa iniziativa, ancora via di espansione, è comparsa per una ragione: permettere sia a me stesso che ad altri futuri scrittori che vorranno collaborare con la casa editrice, di liberarsi dai vincoli posti dagli editori.
L'idea di base era ed è quella di avere un servizio diverso da quello che potrebbe essere il self publishing, arrivando non solo alla distribuzione on line, ma anche nelle librerie.
Ora cominciamo a raccontare qualcosa in più di "Rifondata sulla bellezza". Il tuo libro si apre con un frammento di un dialogo tra Peppino Impastato, e Salvo Vitale, tratto da un bellissimo film di Marco Tullio Giordana, I cento passi, che così recita: "(...) Bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla (...). E' importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto (...)". E' stato questo lo spunto che ti ha condotto a scrivere "Rifondata sulla bellezza"? E cosa significa che dalla bellezza scende giù tutto il resto?
Questo libro è "figlio" di un e-book in cui analizzavo con un'inchiesta quelli che erano i problemi del mondo del turismo, della valorizzazione dei nostri beni culturali.
Il passo successivo è stato quello di scrivere "Rifondata sulla bellezza": attraverso questo testo ho voluto provare a far capire come, alla base della crisi del settore turistico, ci sia un problema di coscienza. Mi spiego meglio: il turismo in Italia funziona nonostante tutto, e questo è merito del forte impatto che il nostro Paese ha nell'immaginario mondiale ed in particolare in Europa, in questo particolare momento storico nel quale il nord Africa è completamente chiuso.
La causa di questo malfunzionamento e della mancata valorizzazione dei nostri beni culturali non è solo un problema burocratico, ma è proprio un problema di coscienza delle persone. Un esempio pratico è come noi trattiamo le nostre strade: in qualsiasi parte d'Europa nessuno butta una sigaretta a terra, anzi, se lo fai c'è sempre qualcuno che ti riprende. Da noi, non solo è normalissimo buttare le sigarette a terra, ma nessuno lo fa notare.
Ecco perché la Frase di Peppino Impastato, perché quando la gente incomincerà a capire il valore della bellezza, intesa quale valore quasi universale, e declinata in maniera soggettiva da chiunque, incomincerà anche ad apprezzare e rispettare il territorio attorno a sé, gettando le fondamenta per la realizzazione del benessere economico e sociale della nostra terra.
E' importante, però, passare dalle parole ai fatti, perché chiunque può essere un narratore di bellezza. Questo è quello che il mondo sta chiedendo per venire da noi e scoprirci.
Ci puoi parlare degli "hotel diffusi" e spiegare come questi luoghi possano essere presi ad esempio di posti "rifondati sulla bellezza"?
In Italia abbiamo tanti bellissimi borghi abbandonati, lasciati morire a causa della mancanza di lavoro. Sarebbero, però, dei territori preziosissimi se riuscissimo a ripristinarli e a riqualificarli in qualità di luoghi in grado di prestare accoglienza. L'obiettivo sarebbe quello di far giungere un turista (anzi, un viaggiatore più che un turista, perché si deve parlare di un turismo di alta gamma, di alta qualità) in grado di non rovinare il nostro territorio. Nell'albergo diffuso le stanze non sono in un'unica struttura ma, appunto, diffuse in tutte le case: la hall, poi, diventa al piazza, la reception un edificio all'interno della piazza...
Così può parlarsi di una diversa "condivisione dell'accoglienza" (pensiamo ai borghi toscani, siciliani, del nord Italia...), perché coloro che vivono nel borgo e che accoglieranno i viaggiatori offriranno anche e sopratutto sé stessi.
Così facendo anche l'offerta della narrazione sarà diversa: leggende, enogastronomia, tradizioni si mescoleranno con religione, artigianato...
Queste sono le straordinarie risorse che consentirebbero a coloro che arrivano di godere di un posto, portarvi benessere e far rivivere i paesi come ha fatto un notaio, Andrea Bartoli, a Favara, in provincia di Agrigento.
Nel libro citi varie Costituzioni, come quella americana: come è possibile coniugare la "ricerca della felicità", contenuta in quest'ultima, con la bellezza del nostro Paese?
Potremmo prendere come esempio l'incipit della Carta Costituzionale degli Stati Uniti per attribuire una nostra personale declinazione alla ricerca della felicità, la quale potrebbe consistere nella coscienza della bellezza, nell'attenzione, nel rispetto e nella valorizzazione di ciò che di bello possediamo. La narrazione del territorio, che appartiene ad ogni angolo della nostra terra, permetterebbe a ciascuno di diventare anche un cittadino vero.
Ad esempio prendiamo la disoccupazione in Sicilia, che raggiunge ufficialmente il 25%, ma in realtà tocca anche il 40%: se in paesini come Acireale e Acitrezza si iniziasse a narrare la leggenda di Ulisse e Polifemo si porterebbero dei turisti a scoprire quelle terre, giungerebbe un benessere economico dall'industria culturale del turismo che permetterebbe a chi vive sul posto di rimanervi senza subire i ricatti della criminalità e di recuperare la cittadinanza alla quale ha diritto.
Cito un passo del tuo libro: "(...) Grazie al violoncello di Vedran Smailovic' che suonava l'adagio di Albinoni tra le macerie della stupenda biblioteca distrutta o attraverso mille labbra rosso fuoco, la bellezza sotto assedio non si è mai arresa (...)". Cosa significa che la bellezza non deve arrendersi?
Quando andai a Sarajevo mi resi conto che le donne di quei luoghi, pur sotto l'assedio della guerra dei Balcani, continuavano ad avere il rossetto sulle labbra: per loro questo voleva dire non perdere la loro dignità. Combattere per i dettagli, avere dedizione, significa impegnarsi, significa obbligarsi a ricercare la qualità.
Curare i borghi, sistemare le periferie, è indizio di un recupero della dignità. Prendiamo ad esempio i murales di Berlino: i turisti vanno a vederli, mangiano e dormono lì.
La cura della bellezza è questo: rendere ogni angolo bello, degno di essere guardato.
Cito, infine, un altro passo del libro: "(...) Noi restiamo aggrappati a ciò che siamo stati, abbiamo difficoltà a capire ciò che siamo. Figuriamoci a immaginare quello che potremmo essere. La nostra idea di popolo è quindi collocata in quello che non c'è più (...)". Siamo legati a quelli che non siamo più: cos'è che possiamo e dobbiamo essere ancora?
Dobbiamo essere ancora grandi.
Noi siamo pregni dell'eredità di coloro che in passato hanno avuto una cura ed un'attenzione per i nostri territori che oggi non c'è. Viviamo di un'immagine riflessa, che non funziona più in un mondo così identitario, così incentrato su Internet e sulla comunicazione veloce. Dobbiamo ricordarci chi siamo, da dove veniamo, così da rimetterci in sesto.
Abbiamo un'identità ben scritta nel nostro DNA, dobbiamo solo riprenderne coscienza, accompagnando questa scelta con una narrazione di noi stessi che combacia con la curiosità che hanno gli altri di scoprirla.
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Intervista a cura di Ilaria Pocaforza
Immagine riprodotta per autorizzazione dell'autore