di Michel Floquet
Neri Pozza Editore, 2016
Traduzione di Alberto Folin
pp. 208
€16,50
Leggere Triste America di Michel Floquet, libro edito da Neri Pozza Editore, nei giorni delle più infuocate e, per certi versi, tristi e per altri preoccupanti Presidenziali che la storia ricorda, è forse il migliore modo per cercare di rammagliare i fili di quel magniloquente gomitolo che oggi è l'America: senza gli Usa non si può vivere, ma senza gli Usa si può vivere? A queste ed ad altre domande il reporter francese, grande, grandissimo conoscitore della materia, risponde.
Il primo dato che emerge con forza dal libro di Floquet è la profonda, nonostante la retorica imperante sia in ambito Democratico che in ambito Repubblicano della "land of opportunity", diseguaglianza che vige in America. Ogni giorno infatti, secondo i dati a disposizione del reporter francese, manca all'appello oltre un milione di uomini neri, finiti in prigione o morti prematuramente. Questo primo elemento è significato del fatto che, nonostante gli Stati Uniti siano ancora oggi la potenza dominante sul Pianeta, ogni giorno "spendano" o meglio non sfruttino le proprie, direbbero gli economisti, risorse, anzi le sprecano, dilapidando la propria forza lavoro, non puntando sui "cervelli fatti in casa" e, di fatto, non rendendo più giusta e meritocratica la propria società.
L'analisi di Floquet è in larga parte fortemente critica nei confronti del cosiddetto "sistema-Paese" (in special modo in ambito di Partito Repubblicano) ma di un criticisimo mosso dall'amore e dalla passione per una grande Nazione. Parafrasando il celeberrimo Tristes Tropiques di Claude Lévi-Strauss, questo Triste Amérique posa sull'America uno sguardo, giustappunto, antropologico, cercando attraverso gli strumenti delle scienze sociali e la conoscenza "sul campo" dei dati di fatti (anche dal punto di vista più strettamente giornalistico) di donare "il vero volto del Paese". E questo volto, per dirla alla Victor Hugo, è "un volto sorridente perché solcato da una terribile ferita". Infatti si può leggere nel libro:
Eppure adoriamo l’America. Non è forse il faro del mondo libero? «Quando c’è un problema, è sempre a noi che si guarda» spiega regolarmente Barack Obama, che, con ogni evidenza, esenta il suo paese dalla responsabilità del caos iracheno e dalla creazione dello Stato islamico che ne è conseguita. L’America si vanta anche di essere una speranza per tutti i miserabili del mondo, sebbene accetti solo con il contagocce i rifugiati siriani. Si crede ancora una terra di opportunità per tutti, tranne che per i suoi. Oggi l’assenza di mobilità sociale negli Stati Uniti è più marcata che in qualsiasi altro paese sviluppato
Sembra proprio un tentativo, per altro piuttosto riuscito, di strappare il "velo di Maya" della propaganda e, senza essere tacciato del più becero anti-americanismo di maniera, di consegnare un'immagine più fedele della Nazione.
Grande, grandissimo tema è quello delle tensioni sociali, causato, ad esempio dal tasso di abbandono scolastico che supera il 50% e che va oltre anche in determinate comunità. Poi la proliferazione delle armi (dal 1968 ad oggi più di un milione di persone è stato ucciso per colpi d'arma da fuoco). E questa lente d'ingrandimento viene sì posta sugli Usa ma non senza fare il conto con altri Paesi, con paragoni il più delle volte sorprendentemente preoccupanti. Ad esempio negli Stati Uniti un adulto su cento si trova in carcere: questa statistica non trova riscontro in nessun altro Paese al mondo, neppure in Cina o in Corea del Nord.
Il “sogno americano” permea i discorsi come le menti. Ogni candidato alle presidenziali promette a ciascun elettore che, grazie a lui, potrà realizzare il suo American Dream. Un concetto inamovibile. La promessa fatta a ognuno che, se lavorerà sodo, potrà accedere al benessere materiale, alla casa, alla macchina, all’educazione dei figli, e potrà far meglio della generazione precedente. Il corollario, implicito, è che se non si è riusciti ad accedere a questo standard è perché non si è saputo o non si è voluto cogliere le opportunità. Tale mito, perché oggi non è che questo, affonda le sue radici in una realtà storica. L’America delle origini, paese nuovo, senza aristocrazie né caste, ha prodotto, è vero, più mobilità sociale di quanta ne abbia prodotta l’Europa. Ma il sogno americano è solo uno slogan privo di senso, anche se alcune storie continuano a far sognare
Il libro di Floquet è un volume prezioso, prezioso perché sostiene concetti e realtà che ormai, sempre più anche in Europa, sono difficilmente recuperabili, con i media e il mondo della comunicazione schiacciato su posizioni di "filo-americanismo sempre e comunque" , ad un soffio dall'oltranzismo. Il reporter francese si pone un sacco di domande, domande che sarebbe stato bello sottoporre anche ai due candidati alle Presidenziali: chissà cosa avrebbe risposto Donald Trump ma anche Hilary Clinton, ad esempio, ad un quesito del genere:
Negli Stati Uniti bisogna avere ventun anni ed esibire un documento d’identità per ordinare una birra in un bar, ma acquistare un fucile d’assalto è una pura formalità
Mattia Nesto
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