di Antonio Manzini
Sellerio, 2016
pp. 384
€ 14,00
L'ultimo libro di Antonio Manzini dedicato a Rocco Schiavone
(Orfani bianchi, il suo romanzo più recente, non fa parte
della saga) è un tassello importante nella storia del vicequestore
di Aosta. Le vicende che nelle puntate precedenti avevano portato
all'omicidio della sua amica Adele, uccisa a casa di Schiavone perché
scambiata per quest'ultimo, mettono alle strette il poliziotto che è
costretto a raccontare ai superiori chi è l'assassino e perché ce
l'ha con lui. Per farlo, dovrà andare indietro nel tempo e
finalmente il lettore potrà scoprire cosa è successo quel fatidico
7 luglio 2007, una data che ricorre spesso nei gialli di questo scrittore perché è proprio quel giorno che è morta Marina, la moglie che
Rocco non ha mai dimenticato (tanto da parlarci ancora e vederla,
come fosse un fantasma quasi tangibile) e la cui scomparsa prematura
ha determinato il carattere chiuso e dolente del protagonista.
Quell'estate 2007 Marina è viva ma non è comunque al fianco del
protagonista: la coppia ha infatti appena litigato perché la donna
ha scoperto la provenienza delle entrate extra del marito. Schiavone,
lo sa chi ha letto gli altri libri di Manzini, non si fa scrupoli a
varcare di tanto in tanto il confine della legalità; senza mai
fregare i più deboli, si dice Rocco, ma non ci sono giustificazioni,
gli ricorda Marina. O forse è la sua coscienza a parlare.
Intanto il cadavere di un ventenne viene rinvenuto in una cava di
marmo. Sembra una vendetta, ma chi poteva avercela con un bravo
ragazzo come lui? Pochi giorni dopo viene ritrovato il corpo di un
altro giovane, questa volta a Roma, in piena città, senza che
nessuno abbia apparentemente visto nulla. È Schiavone a dover
indagare e presto scopre che le due vittime erano entrate in un giro
pericoloso legato allo spaccio.
A parte la cornice ambientata ai giorni nostri che racchiude il
lungo flashback al 2007, l'impostazione del libro segue quella degli
altri romanzi: un'indagine classica per un poliziesco contemporaneo.
Ritroviamo anche gli elementi che hanno caratterizzato Schiavone sin
dal debutto in Pista nera: le improbabili Clarks (è arrivato
al sedicesimo paio in dodici mesi ma ancora non rinuncia a quelle
scarpe così leggere per il gelo aostano), il gusto di paragonare i
volti di chi incontra a profili animali e quelle canne fumate alla
mattina che tanto han fatto arrabbiare alcuni politici nostrani. Si
ride, leggendo le avventure del vicequestore, per le sue battute
pronte (qui accentuate dalle cadenze romanesche che ad Aosta erano attenuate) e per il fastidio provocatogli da tutti
i grattacapi che il mestiere gli pone mettendo a dura prova il
suo carattere insofferente.
Come abbiamo detto, prima ancora che le cose precipitino verso
l'irreparabile Rocco soffre dell'assenza della moglie. 7-7-2007
svela buona parte della genesi del personaggio Schiavone, andando
all'origine dei suoi turbamenti. L'eroe di Manzini è sempre solo:
anche in questo episodio della sua vita, quando teoricamente avrebbe
al fianco Marina, lei non c'è, né i suoi amici storici Sebastiano,
Furio e Bizio, pur importantissimi e sempre presenti quando serve,
sembrano alleviare le pene del poliziotto, che non riuscirà mai a
sentirsi parte di un gruppo. Visto che anche i racconti raccolti in
Cinque indagini romane per Rocco Schiavone sono successivi
alla scomparsa della moglie, noi lettori non conosciamo il
vicequestore se non a caduta già avvenuta. La ragione stessa di
questo personaggio letterario, e buona parte del suo fascino,
consiste nel suo destino di solitudine, ad Aosta come nella sua
città, Roma.
Le fanno senso i cadaveri?No. Quelli no. Quello che c'è intorno, quello mi fa senso.
Chi ha già letto i capitoli precedenti sa che prima o poi il nome
dei fratelli Baiocchi deve saltare fuori e ovviamente sarà proprio
così. Anche gli aficionados di Manzini scopriranno però per la
prima volta come sono andati precisamente gli avvenimenti che hanno segnato il protagonista della serie. Nonostante non ci
siano sorprese sul finale, che è stato anticipato sin dall'esordio
di Schiavone, Manzini non calca troppo la mano sull'ironia drammatica
costruendo una storia che sta in piedi anche senza conoscere le
vicende successive e che può quindi coinvolgere il lettore a
prescindere da ciò che il futuro riserva al vicequestore.
Marina rimane un personaggio interessante in potenza: il suo
rapporto con Rocco, nel breve tempo che questo romanzo concede alla
coppia, lascia spazio ad interrogativi e carica la donna di
contraddizioni irrisolte che sarebbero potute sfociare in pagine
importanti, se solo il destino (ovvero l'autore) non avesse voluto
privare Schiavone e i lettori della sua presenza viva,
consegnandocela solo come forma di spettro partorito dalla mente
ferita del poliziotto e perciò eternamente uguale all'immagine che
il marito vuole conservare di lei.
Avvicinandosi alla conclusione si giunge a due momenti profondi e
toccanti: prima una riflessione sul mestiere di sbirro, che
costringe gli uomini e le donne in divisa a convivere con sentimenti
laceranti e poi, finalmente, la scena madre, l'evento più importante
della vita di Rocco Schiavone.
Nicola CampostoriFuori dalla porta trovò il cartello, quello che Italo Pierron, per scherzare, aveva appeso tempo prima e che riportava la graduatoria delle rotture in maniera che tutti fossero a conoscenza di ciò che disturbava il capo. Rocco prese una penna. Si avvicinò e al nono livello scrisse: i ricordi.
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