Scherzetto
di Domenico Starnone
Einaudi, 2016
pp. 164
€17,50 (cartaceo)
Daniele Mallarico è un
anziano illustratore, che da anni vive e lavora a Milano, dove è approdato
lasciando la sua città di origine, Napoli. È un uomo solo, che consuma stancamente la sua vita da vedovo: la
moglie Ada è scomparsa da tempo, lasciandogli da scoprire alcuni quaderni in
cui per tutta la vita aveva racchiuso la distanza che la separava dall'uomo che
aveva sposato, le incomprensioni e i tradimenti che il marito non
aveva mai immaginato. Il tempo passa lentamente per quello che una
volta fu un artista con importanti riconoscimenti, ma che ora vive la risacca
del lontano successo: viene contattato sempre meno, le sue illustrazioni
sembrano non interessare più nessuno se non un tronfio e rampante giovane
editore che gli chiede di illustrare il racconto di Henry James The Jolly corner. La richiesta assume però
un valore particolare. Come il protagonista jamesiano Spencer Brydon ritorna a
New York nella casa dov'era cresciuto, così anche Daniele si trova a dover
tornare a Napoli: la figlia Betta gli chiede infatti di badare al nipote Mario
per i quattro giorni in cui sarà impegnata in un convegno, insieme al marito
Saverio, anch'egli professore universitario di matematica.
Il ritorno a Napoli diviene così per Daniele la
tremenda e involontaria occasione non solo di ritornare in una città che per
tutta la vita ha cercato di strapparsi dalla pelle (il rimando alla Napoli de L’amore molesto e de L’amica geniale lo lasciamo agli amanti
del gossip letterario), ma per ritrovare, proprio tra quelle mura dove è
cresciuto e dove ora vive la figlia con la sua famiglia, i proprio fantasmi.
Nei pochi giorni che passa quasi interamente in casa, Napoli incombe dagli
squarci inquadrati dalle finestre con un enorme peso esistenziale: la città diviene il simbolo delle possibilità
non vissute da Daniele, che ammette quanto tramite “la capacità di rifare con la matita qualsiasi cosa” volesse “individuare un tratto mio, solo mio, che mi
permettesse di svignarmela dal suo sangue”. Nell’irriducibile
estraneità di una Napoli a tratti violenta e a tratti struggente, odiata e
fuggita dal protagonista con tutta la caparbietà di cui è capace la gioventù, il
vecchio illustratore si ritrova faccia a faccia coi suoi fantasmi, con tutte le
possibili vite che avrebbe potuto vivere e che sembravano sparite nel nulla:
“Io ero diventato carne, il resto fantasmi. E ora eccoli, stazionavano nel grande soggiorno dell’appartamento della mia adolescenza, l’appartamento oggi mutato in casa di Betta, di Saverio, di Mario. Si erano radunati lì con il loro dialetto, i loro modi e desideri scostumati, la loro cattiveria pronta a esplodere per ogni minuscolo conflitto. Non mi perdonavano di aver scelto la più impossibile delle variazioni e di averla difesa contro di loro senza cedere di un millimetro. Li avevo cacciati via, ma mai del tutto. Solo la morte li avrebbe sul serio sgominati, cancellando il mio corpo a cui aspiravano da sempre e che, volente o nolente, li teneva in vita”.
Il confronto e il
conflitto con queste presenze viene acuito dal rapporto col nipote Mario, la
cui sicura propensione verso il futuro lo allontana ancora di più dalla comprensione del nonno. La selva di possibilità che
il bambino ha davanti a sé, non ancora divenute fantasmi, acuisce i tormenti di
Daniele, mentre nelle fatiche, gelosie e incomprensioni dello sfilacciato
matrimonio della figlia il lettore avvertirà forte e chiara l’eco del
precedente Lacci.
Il richiamo a Lacci non è però solo tematico.
Domenico Starnone è infatti riuscito nuovamente a creare un racconto denso e teso, in cui i
tormenti del vecchio Daniele emergono con tutta la forza immaginifica del
fantasma, che grazie alla sapienza intertestuale di Starnone torna a
racchiudere quelle forze che si agitano dentro di noi e con le quali bisogna
comunque, prima o poi, fare i conti.