di Milena Agus
nottetempo, 2016
pp. 120
€14.00 (cartaceo)
1^ edizione: 2006
Torna in libreria Mal di pietre, acclamato secondo romanzo di Milena Agus, vincitore di più premi letterari; e meritatamente. L'occasione per questa ristampa con copertina aggiornata è ghiotta: Mal di pietre è diventato un film in Francia, che speriamo di vedere distribuito presto anche in Italia.
Ma veniamo al romanzo. È difficile sbocciare come donna, in una famiglia per bene di una Sardegna riservata e chiusa, nel periodo della guerra. Così la protagonista, nonna della voce narrante, si è data in matrimonio tardi nonostante la sua bellezza, perché si vociferava che la ragazza non avesse un grande equilibrio psichico. Ma come può andare un matrimonio senza amore, con un vedovo, incallito frequentatore del casino locale? Non come si può pensare: l'uomo, già avanti negli anni, accetta di sposarsi solo sulla carta, per sdebitarsi con la famiglia di lei, che lo ha curato e sfamato ai tempi della guerra. Poi certo, trovarsi accanto una ragazza tanto florida e intensa nei lineamenti, rende difficile dormire ai bordi opposti del letto. E, d'altra parte, la donna vuole mettere a tacere le voci nel quartiere ed evitare che il marito cerchi compagnia al bordello... Eppure l'evoluzione della vita coniugale è lenta, perché la protagonista non riesce a portare a termine nessuna gravidanza, a causa del "mal di pietre" che le vessa i reni. Per questo la via sembra solo una: andare alle terme, spostarsi "sul continente" e seguire una cura particolare. Questo vuol dire sradicarsi, abbandonare la casa e il marito; ma significa anche aprirsi al mondo, a nuove conoscenze, come mai prima.
E il crinale tra dolore e amore è sottile: come la donna viene turbata dal dolore ai reni, così si sente rimescolare il sangue alla vista del Reduce, un ricoverato che inizialmente non pare accorgersi di lei, ma lentamente si lascia affascinare. Viene quindi da chiedersi, a noi lettori, se sia legittimo per la donna lasciarsi andare a un sentimento di intensità enorme, mai provato prima. Ma resteremo continuamente sorpresi: la storia di vita di questa donna è tutt'altro che scontata e anche alla nipote tante cose non sono mai state rivelate.
Riassunta così, forzatamente in breve, il romanzo di Milena Agus non sembra portare grandi novità narrative. Ma è lo stile a rendere speciale quest'opera: frasi secche, un racconto scarno come pochi italiani sanno fare, pronto ad aprirsi a un dettaglio che colpisce, indelebilmente. È proprio il piacere della storia a tenerci avvinti di pagina in pagina, attraverso i brevi capitoletti che si muovono tra presente della nipote, passato della vita coniugale della nonna e passato con il Reduce. Se le vie di Cagliari hanno nomi precisi e scorci paesaggistici ancora ben visibili, i protagonisti non hanno bisogno di un nome per colpirci: sono semplicemente la "nonna", il "nonno" e il "Reduce", con una maiuscola che lascia pensare all'idealizzazione che la nipote ha sempre operato, sulla scia dei racconti familiari.
E il crinale tra dolore e amore è sottile: come la donna viene turbata dal dolore ai reni, così si sente rimescolare il sangue alla vista del Reduce, un ricoverato che inizialmente non pare accorgersi di lei, ma lentamente si lascia affascinare. Viene quindi da chiedersi, a noi lettori, se sia legittimo per la donna lasciarsi andare a un sentimento di intensità enorme, mai provato prima. Ma resteremo continuamente sorpresi: la storia di vita di questa donna è tutt'altro che scontata e anche alla nipote tante cose non sono mai state rivelate.
Riassunta così, forzatamente in breve, il romanzo di Milena Agus non sembra portare grandi novità narrative. Ma è lo stile a rendere speciale quest'opera: frasi secche, un racconto scarno come pochi italiani sanno fare, pronto ad aprirsi a un dettaglio che colpisce, indelebilmente. È proprio il piacere della storia a tenerci avvinti di pagina in pagina, attraverso i brevi capitoletti che si muovono tra presente della nipote, passato della vita coniugale della nonna e passato con il Reduce. Se le vie di Cagliari hanno nomi precisi e scorci paesaggistici ancora ben visibili, i protagonisti non hanno bisogno di un nome per colpirci: sono semplicemente la "nonna", il "nonno" e il "Reduce", con una maiuscola che lascia pensare all'idealizzazione che la nipote ha sempre operato, sulla scia dei racconti familiari.
Delicato e incisivo, passato quanto atavico, Mal di pietre è un libro che resta ed è per questo che è un piacere parlarne ancora, dopo la recensione di Flavia. Il tocco dei maestri sardi - Grazia Deledda su tutti - è presente, ma sempre con il buonsenso di chi scrive l'oggi e non scimmiotta mai il passato. D'altra parte, Michela Agus, con la sua grazia affilata, roccaforte di imprevisti stupori, non ne ha affatto bisogno. E la aspettiamo con ansia in una nuova prova narrativa.
GMGhioni
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