Natale è un periodo dell’anno che amo, soprattutto da quando ho scoperto il valore dell’assenza, il bello di riscoprirsi vicini grazie alla lontananza da casa, il sentimento di amore filiale che solo maturando puoi davvero comprendere, quando non sei più figlio e nel contempo lo sei in senso assoluto.
E questo vale anche per i fratelli e gli amici, quelli veri, quelli che porti nel cuore e che sopravvivono alle assenze, al sentirsi di rado, alle telefonate infinite. Quelli con cui pensi di voler passare tutto il tuo tempo appena ritornerai a casa per le feste, e che magari non riuscirai a vedere, ma che comunque ci sono e capiscono, e ci saranno sempre. Poi ci sono le persone “significative”, che non sono propriamente amici, perché a separarvi c’è l’età, gli interessi o la vita, ma il fatto che siano significative rende ogni loro gesto importante, perché irripetibile e legato ad un dato periodo della vita. Io ho una serie di persone significative e di oggetti significativi che mi legano a loro. Una di queste persone è per me un amico, è stato un datore di lavoro ai tempi dell’università (quando rientravo nella categoria degli studenti lavoratori) e senza esagerare, in determinati periodi della mia vita, quasi un secondo padre. Fa l’avvocato penalista per lavoro e l’artista per passione, dipingendo quadri meravigliosi e dialogando di Storia romana con gli amici. A lui devo un regalo che ha cambiato i miei orizzonti e mi ha aperto lo sguardo sulla multiculturalità come valore. Vado ancora a trovarlo e anche quest’anno andrò a fargli gli auguri, con calma, quando la trafila istituzionale degli auguri sarà finita, siederò con lui nel suo studio, e parleremo di qualche nuovo libro e di qualche scrittore arabo, perché la passione per la letteratura mediorientale la devo in parte anche a lui.
Un pomeriggio di tanti anni fa, mentre parlavamo di letteratura, tirò fuori un pacchetto rosso ben confezionato; la forma inconfondibile mi svelava già il contenuto, mentre avidamente ceravo di capire di che libro si trattasse. Eccola lì la mia scoperta, il mio meraviglioso viaggio per i luoghi che un tempo erano rotta di commerci e intrighi. Il libro era Gli Scali del Levante di Amin Malalouf, autore libanese, che ho portato con me nella mia prima avventura da giornalista fuori area, sul confine libanese, guardando a Israele e alle sfaccettature di confini così vicini e così lontani. In questo meraviglioso viaggio si ripercorrono eventi storici che hanno determinato la politica del Medio Oriente, dalla Caduta dell’impero Ottomano fino alla nascita dello Stato d’Israele e alla guerra civile in Libano. Il tutto raccontato attraverso gli occhi di un discendente della dinastia imperiale ottomana, con una storia personale del protagonista, che lega musulmani ed ebrei in una parabola d’amore, che è tema tanto caro e attuale a scrittori antichi e modernissimi.
Gli Scali del Levante è un libro da regalare a chi vuole comprendere il prima, a chi cerca di capire le conseguenze delle cose risalendo al perché, a chi non si ferma davanti alle barriere ma le scavalca, o almeno, come ho fatto tante volte io, in zone del mondo lontane e diverse, vuole esserci fisicamente su quei confini, per guardare cosa c’è dall'altra parte. Questo libro è anche la storia di una famiglia, la storia di un amore e di quanto sia importante restare uniti, oltre ogni distanza. Regalatelo a chi ha capito il valore dell’assenza e ne coltiva i frutti con amore, ogni giorno.
Samantha Viva
Gli Scali del Levante
di Amin Maalouf
Bompiani, 2000
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