La danza della collana
di Grazia Deledda
prefazione di Giovanni Pirodda
Ilisso, 2007
pp. 128
cartaceo: 11,00 euro
e-book: 4,99 euro
Una fortissima tensione sessuale, tanto più intensa perché repressa oppure vissuta con colpevolezza: è questo il filo percettivo che accompagna la lettura di La danza della collana, romanzo deleddiano pubblicato per la prima volta nel 1924 e che già dal titolo pare alludere alle movenze seduttive proprie dell’arte coreutica e al gioiello che, per il suo naturale ciondolio all’altezza del petto femminile, si presta più di tanti altri al gioco della seduzione. Ma in questa storia, in cui le perle ci sono e hanno, sì, un ruolo importantissimo, in verità non si balla affatto, o almeno non a rigore: la danza a cui si fa riferimento è piuttosto, simbolicamente, quella della vita, e i suoi passi designati sono quelli che avvicinano e allontanano in una fatale coreografia i protagonisti di un peculiare ménage a trois frutto sia dell’equivoco casuale che dell’inganno consapevole.
È l’arrivo del Conte Giovanni Delys a sconvolgere la quotidianità sonnolenta di una zia e di una nipote che il destino ha unito anche nell’omonimia. Entrambe rispondono difatti al nome di Maria Baldi, e la più giovane, rimasta orfana, è stata presa in casa, e di fatto adottata, dalla più matura parente. Entrambe, pur essendo oggetto di attenzioni da parte dell’altro sesso, all’inizio della vicenda non hanno legami sentimentali importanti, ma mentre la più anziana sembra ormai essersi adattata al suo status di donna sola, benestante e dunque autonoma, la più giovane sente forte il richiamo delle passioni, in attesa di legarsi finalmente a un compagno che possa mutarne la condizione sociale. Per questo, quando l’uomo di nobile famiglia suona al campanello della villa con il pretesto di volere acquistare un terreno ad essa adiacente – mentre in realtà va cercando la zia, proprietaria di una preziosissima collana che sua madre dovette impegnare per salvare la famiglia dal tracollo economico – Maria non fa nulla per impedire lo scambio di persona. La relazione inizia così sotto il segno del malinteso e della menzogna, e non basterà, nel corso degli eventi, che le vere identità e le vere intenzioni dei personaggi vengano progressivamente svelate. In una vicenda in cui l’ombra della corruzione pare avvolgere tutti i protagonisti – il Conte decaduto e calcolatore, la zia non ancora sfiorita che preferisce lasciarsi vivere, la nipote fresca ma inquieta e consapevole peccatrice – un castigo esemplare e crudele riguarderà proprio la creatura più innocente, ovvero la bimba che nascerà dalle nozze tra gli sposini, a cui il dono finale e liberatorio gioiello non basterà per scongiurare il malaugurio.
La danza della collana è l’ennesima prova della maestria introspettiva della Deledda, che in questo dramma a tutti gli effetti "teatrale" e "borghese" anima le psicologie di tre personaggi infelici vinti dalla forza delle rispettive illusioni, alla ricerca di una salvezza personale che pare potersi compiere solo a svantaggio o al posto dell’altro. Così, per esempio, sono emblematici soprattutto i dialoghi tra le due donne, il cui sottotesto si abbevera alla fonte avvelenata della competizione femminile, del rancore reciproco, della dissimulazione di circostanza; scambi tanto più abietti perché scaturiti dall’irruzione di un uomo tutto sommato inetto e opportunista ma comunque dotato di fascino e virilità, e dunque già solo per questo capace di risvegliare le pulsioni di entrambe. Si veda per esempio, all’inizio del romanzo, il brano in cui la scrittrice descrive con stile quasi cinematografico il primo, sensualissimo, pedinamento del Conte nei confronti della giovane Maria, destinato a concludersi all’interno di una Chiesa, nella più perfetta sovrapposizione di amore sacro e amor profano:
«l’uomo la seguiva, alquanto di lontano, e senza volerlo camminava anche lui lieve, quasi cercando di non far rumore perché lei non se ne avvedesse; ma sentiva ch’ella sapeva bene di questo inseguimento e se ne compiaceva, e che, lui volendo, non sarebbe più andata dove intendeva andare prima d’incontrarlo, ma in qualche luogo dove incontrarsi ancora: poiché la proprietaria di terreni e l’uomo che vuole tentare una speculazione erano scomparsi, e rimanevano solo la donna che cammina lieta di sé e della sua bellezza nelle vie del mondo, e il maschio che la insegue».E non meno intensa, per i suoi risvolti di decadente pessimismo, la scena madre in cui proprio la giovane Maria, pur gravida, accende una sigaretta nel corso dell’ultimo colloquio con la zia:
«- Tu fumi? - disse l'altra sorpresa. - Eh sì, ho preso anche quest’abitudine. È bello; mi piace: le sigarette le faccio da me, - disse come per scusarsi: intanto aveva tirato fuori della borsa il portasigarette e l’accendino d’oro, e in un attimo l’aria odorò di un indefinibile profumo fra d’incenso e di tabacco forte, che nell’altra riaccese il ricordo fisico dell’uomo che nelle sere calde e luminose della primavera scorsa portava nella casa l’alito della passione. Anche la giovane s'era d'improvviso eccitata e fatta bellissima: si alzò tendendosi a prendere il portacenere dalla tavola e il suo vestito rosa parve illuminare il crepuscolo della stanza».Le acque, ad ogni modo, non potranno che intorbidarsi progressivamente nel loro flusso: nemmeno l’ambientazione marina delle scene finali, in quello che è un correlativo oggettivo solitamente positivo nell’immaginario della scrittrice, si rivela d’aiuto per uno scioglimento positivo della vicenda. Al contrario, la luce abbacinante del contesto balneare rappresenterà un doloroso contrappunto per quel “buio” che fatalmente colpirà l’anima incolpevole della neonata, frutto di un amore tra anime perdute, già accecate indistintamente dalla propria vanità.
Cecilia Mariani