Storie dal manicomio 1940-1950
di Paolo Sorcinelli
Odoya, 2016
pp. 224
€ 16,00
"La guerra era una follia e ogni suo partecipante matto fin dall'inizio".
Sta tutto qui, in questa citazione di Paul Fussell (tratta da Tempo di guerra. Psicologia, emozioni e cultura nella seconda guerra mondiale, Milano, 1991), il senso di La follia della guerra. Il libro scritto dal professor Paolo Sorcinelli, con i contributi di Maurizio Cammellini, Sabina Cremonini e Paolo Giovannini, ricostruisce gli anni del secondo conflitto in un'ottica particolare, quella dei manicomi. Per farlo, il professor Sorcinelli prende in esame le cartelle cliniche di tre istituti (Mantova, Reggio Emilia e Pesaro), in un lavoro complesso e ricco di sfumature. Due sono i punti fondamentali:
- La follia della guerra non è solo quella che deriva al conflitto, ma ne rappresenta la causa. Infatti quale persona sana di mente potrebbe volersi impegnare in un'attività tanto sanguinosa?
- La pazzia conseguente alla guerra in molti casi non fu riconosciuta. Per non turbare l'epica del conflitto, di molte persone internate si disse che erano predestinate alla follia e alla psicosi, a causa di una ereditarietà della follia stessa.
Strano, visto che “la punta massima dei pazienti si raggiunge proprio nell'anno in cui l'Italia entra in guerra”. Ma per i documenti del periodo, la follia dipende da fattori organicistici, endogeni, non basta la guerra a generare la malattia. Persino per i soldati la guerra “non fornisce che un pretesto per portare in superficie condizioni di debolezza soggettiva”. O così risulta nei referti. L'esclusione dei soldati internati è quindi duplice: prima dalla vita militare, poi anche dalla civile.
Per le donne poi il discorso si complica: visto che danno la vita, la guerra potrebbe rivelarsi una concausa delle malattie mentali delle persone concepite in periodo bellico. L'equilibrio psichico femminile dev'essere salvaguardato per rispondere alla funzione generatrice. Se poi la donna trasgredisce dal ruolo di nutrice, mostrando noncuranza per la casa o poca attenzione ai figli, o anche solo trasandatezza nel vestire, scatta nei suoi confronti il sospetto della non integrità mentale.
Il libro offre anche uno spaccato dei metodi di cura in voga al tempo, primo tra tutti l’elettroshock. Una vera tortura per i pazienti, che vivevano il momento del ricovero come un tormento, spaventati dalla prospettiva della prossima scarica. Anche perché era usato in modo sperimentale, in eccesso, tanto da provocare “sensazione di morte e annichilimento”. Fino al punto che nell'ultimo capitolo del libro si abbozza anche l'inquietante ipotesi che la guerra, avendo attenuato il valore della vita, abbia allentato i controlli sui sistemi sperimentali di cura. Per dirla senza giri di parole, l’ipotesi tra le righe è che i pazienti abbiano fatto da cavie alle terapie.
Il giudizio su questa lettura non può che essere positivo. Abituato ad insegnare, il professor Sorcinelli realizzare un quadro chiaro e sintetico della situazione, affrontando il tema in ‘slide tematiche’ e arricchendo il lavoro di testimonianze e immagini. Un ottimo strumento di studio e di divulgazione.
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