di quest'acqua io non ne bevo"
Il destino che ci lega a certi libri è davvero strano: pare che entrino per caso nella vita delle persone, per poi avvilupparsi indissolubilmente alla nostra anima. Per me Accabadora è stato uno di quei libri, uno di quei volumi intrisi di tanti significati quante sono le volte che lo rileggo.
Ricordo bene il giorno che mi capitò tra le mani: ero alla stazione Termini in attesa del treno che mi avrebbe riportata a casa dopo ore di lezione all'università. Entrai in libreria per ingannare il tempo (anche se, come ha detto qualcuno, il tempo servirebbe vivo), iniziai a vagabondare in mezzo agli scaffali e fui irresistibilmente attratta da quella ragazza che appariva sulla copertina, il volto celato dietro ad alcune candele. Afferrai il volume d'impulso e, senza nemmeno leggere la trama, lo comprai e lo lessi in poche ore.
Iniziò così il mio amore per Michela Murgia, autrice di questa meravigliosa storia che ha per protagonista Maria Listru, una ragazzina che diviene fill'e anima dell'anziana Bonaria Urrai, l'Accabadora del titolo, colei che in una Sardegna arcaica e quasi magica dava la buona morte a quanti venivano trattenuti in un'esistenza che nulla più aveva della vita.
Rilessi nuovamente questa storia due anni fa, quando una persona a me molto cara veniva consumata dall'ultimo male che il destino le aveva riservato e, sapendo che da quella guerra non sarebbe tornata, desiderai ardentemente che al suo fianco potesse esserci Bonaria, "l'ultima madre che alcuni hanno visto".
Accabadora è un libro che regalerei e consiglierei a quanti credono che possa esistere solo un modo di approcciarsi a certe questioni, ché la vita, purtroppo o per fortuna, non è mai in bianco e nero, ma è fatta di milioni di fugaci sfumature che rendono ogni scelta degna di essere presa, ogni momento ed ogni azione meritevoli di essere vissuti.
Ilaria Pocaforza
Vuoi saperne di più sul libro? Leggi anche la recensione di Giuseppe.
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