Nebbia sul ponte di Tolbiac
di Léo Malet
Fazi, 2016
titolo originale: Brouillard au pont de Tolbiac
traduzione di Federica Angelini
pp. 170 [cartaceo]
Euro 15,00
La nascita del romanzo poliziesco - variamente battezzato come giallo, noir, polar, thriller, ecc. a seconda del paese di provenienza - è strettamente legata all'incremento demografico e urbanistico che ha interessato le grandi metropoli europee, su tutte Londra e Parigi, in seguito alle dinamiche economico-sociali scaturite dalla seconda rivoluzione industriale nella seconda metà dell'Ottocento. Questa premessa per dire come la geografia urbana è da considerare a pieno diritto come uno degli elementi portanti della narrativa del crimine. Per intenderci, non potremmo mai immaginarci Sherlock Holmes fuori dal contesto londinese (che sia quello vittoriano dell'originale di sir Conan Doyle o quello della riuscita trasposizione contemporanea della nota serie tv poco importa), come sarebbe altrettanto improponibile scindere le indagini di Nestor Burma dal loro habitat naturale parigino.
Come ben sanno gli aficionados delle avventure del celebre "sbirro" privato, nella serie 'I nuovi misteri di Parigi', composta da quindici storie ognuna delle quali ambientata in un diverso arrondissement di Parigi, Malet tratteggia infatti una vera e propria topografia del crimine della capitale francese. Il lettore si muove dunque con Nestor Burma camminando per le strade dei vari quartieri parigini, annusandone gli odori e in alcuni casi lasciandosi impregnare da essi, acuendo lo sguardo e le orecchie per cogliere le differenze sociali, economiche e culturali, nonché le immancabili contraddizioni di una delle più influenti metropoli europee del secolo scorso.
Dopo Le acque torbide di Javel (http://www.criticaletteraria.org/2016/04/acque-torbide-di-javel-malet-fazi.html), le inchieste di Nestor Burma proseguono con il più recente Nebbia sul ponte di Tolbiac, datato 1955 e ora riproposto dall'editore Fazi nell'apposita collana Darkside che si appresta a ospitare tutte le avventure del detective privato francese.
In questa nuova indagine il nostro eroe letterario ritorna nel XIII arrondissement per rimestare tra le ombre di un passato ancora vivo nella sua memoria. La familiarità con certi ambienti anarchici frequentati in gioventù lo attirano nel vortice di una storia di grandi ideali e misere risoluzioni, dove in ogni frangente e in ogni piega dell'inchiesta il confronto tra un quindicenne appena arrivato nella grande città e il cinico e burbero detective conosciuto dai lettori è impietoso. Sembrano due vite diverse e invece è solo una. Quella, alquanto complessa, di Nestor Burma.
Una vecchia conoscenza che fa appena in tempo a chiedere l'aiuto del nostro prima di venire accoppata e un'ammaliante gitana dagli occhi pieni di dignità e dolore saranno per Burma gli unici punti di riferimento in questa storia che sconvolge profondamente la scorza del duro e disilluso personaggio di Malet. Il passato, come un cadavere ritornato in vita, sembra quasi intrecciarsi e confondersi con il presente per giudicarlo con la spietata inflessibilità dei grandi slanci traditi, degli ideali mai concretizzati, delle nobili azioni mancate, dei rimorsi e dei rimpianti per ciò che avrebbe potuto essere e non è. Se non ci fosse la nebbia ad attutire i contorni dell'implacabile squallore quotidiano, Nestor Burma stavolta difficilmente ce la farebbe a uscirne vivo. Letteralmente.
La scrittura magistrale, agile, piena di guizzi ironici e trovate narrative di Malet conduce il lettore fino all'epilogo virilmente melò che è un pugno nello sterno. A lettura conclusa si rimane senza fiato, stremati come Burma e con un retrogusto vago che ricorda molta la nebbia in cui si vorrebbe scomparire per molte altre pagine ancora.
Pietro Russo
Come ben sanno gli aficionados delle avventure del celebre "sbirro" privato, nella serie 'I nuovi misteri di Parigi', composta da quindici storie ognuna delle quali ambientata in un diverso arrondissement di Parigi, Malet tratteggia infatti una vera e propria topografia del crimine della capitale francese. Il lettore si muove dunque con Nestor Burma camminando per le strade dei vari quartieri parigini, annusandone gli odori e in alcuni casi lasciandosi impregnare da essi, acuendo lo sguardo e le orecchie per cogliere le differenze sociali, economiche e culturali, nonché le immancabili contraddizioni di una delle più influenti metropoli europee del secolo scorso.
Dopo Le acque torbide di Javel (http://www.criticaletteraria.org/2016/04/acque-torbide-di-javel-malet-fazi.html), le inchieste di Nestor Burma proseguono con il più recente Nebbia sul ponte di Tolbiac, datato 1955 e ora riproposto dall'editore Fazi nell'apposita collana Darkside che si appresta a ospitare tutte le avventure del detective privato francese.
In questa nuova indagine il nostro eroe letterario ritorna nel XIII arrondissement per rimestare tra le ombre di un passato ancora vivo nella sua memoria. La familiarità con certi ambienti anarchici frequentati in gioventù lo attirano nel vortice di una storia di grandi ideali e misere risoluzioni, dove in ogni frangente e in ogni piega dell'inchiesta il confronto tra un quindicenne appena arrivato nella grande città e il cinico e burbero detective conosciuto dai lettori è impietoso. Sembrano due vite diverse e invece è solo una. Quella, alquanto complessa, di Nestor Burma.
Una vecchia conoscenza che fa appena in tempo a chiedere l'aiuto del nostro prima di venire accoppata e un'ammaliante gitana dagli occhi pieni di dignità e dolore saranno per Burma gli unici punti di riferimento in questa storia che sconvolge profondamente la scorza del duro e disilluso personaggio di Malet. Il passato, come un cadavere ritornato in vita, sembra quasi intrecciarsi e confondersi con il presente per giudicarlo con la spietata inflessibilità dei grandi slanci traditi, degli ideali mai concretizzati, delle nobili azioni mancate, dei rimorsi e dei rimpianti per ciò che avrebbe potuto essere e non è. Se non ci fosse la nebbia ad attutire i contorni dell'implacabile squallore quotidiano, Nestor Burma stavolta difficilmente ce la farebbe a uscirne vivo. Letteralmente.
La scrittura magistrale, agile, piena di guizzi ironici e trovate narrative di Malet conduce il lettore fino all'epilogo virilmente melò che è un pugno nello sterno. A lettura conclusa si rimane senza fiato, stremati come Burma e con un retrogusto vago che ricorda molta la nebbia in cui si vorrebbe scomparire per molte altre pagine ancora.
Pietro Russo