“Oggetti solidi”, tutti i racconti e altre prose di Virginia Woolf


Oggetti solidi
Tutti i racconti e altre prose
di Virginia Woolf
Roma, Racconti edizioni, 2016

pp. 468
€ 19,00 (cartaceo)



Adesso ho almeno sei racconti che mi zampillano dentro, e sento, finalmente, di poter coniare in parole tutti i miei pensieri. 


Dal diario di Virginia Woolf, 20 aprile 1925 


Era da un po’ che non si vedevano in libreria. I racconti di Virginia Woolf erano comparsi nell’edizione Newton Compton del 1995 e ancora prima nel 1988, pubblicati dalla Tartaruga; oggi possiamo leggere quella di Racconti edizioni, che li comprende tutti in ordine cronologico nella traduzione di Adriana Bottini e di Francesca Duranti. 
Il libro si apre con una citazione tratta dal Giardino perduto di Helen Humphreys (Playground), un bel romanzo ambientato in Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale, in cui la malinconia della protagonista per la scomparsa di Virginia Woolf impregna alcune pagine decisamente poetiche. Uno dei piaceri della lettura consiste proprio nello scovare il legame, il dialogo tra un libro e pochi altri, e il gioco si fa ancora più appassionante se, accanto all’opera di un’autrice, è possibile leggere i suoi diari: nel 1919 Woolf annotava che Katherine Mansfield l’aveva definita una «Jane Austen rediviva», e leggendo i suoi primi racconti è facile capire il motivo.
E secondo me il matrimonio è la fine migliore, se solo ti permettessero di sposare l’uomo che vuoi.
Phyllis e Rosamond rievoca atmosfere austeniane nel racconto di cinque sorelle alle prese con quello che ci si aspetta da loro in società: contegno, educazione, solidarietà reciproca e l’abilità di fare un matrimonio conveniente. «Speranze e paure sono in comune», scrive Woolf, il suo modo di narrare le vicende delle sorelle, di rendere i dialoghi e il tono tristemente ironico di fondo ricordano i romanzi di Austen: 
Non abbiamo una stanza nostra, per cominciare; e inoltre non ci darebbero mai il permesso. Siamo figlie, finché non diventiamo mogli. 
Un altro topos di ascendenza austeniana molto caro alla scrittrice è quello della stanza tutta per sé, così essenziale per chi voglia scrivere: il fatto che l’autrice di Orgoglio e pregiudizio non lo facesse in uno spazio proprio ma nella sala comune era un tratto della sua vita che aveva colpito profondamente Woolf, che non poté fare a meno di trarre le proprie conclusioni anche da altre letture: 
George Eliot e Charlotte Brönte sono le progenitrici di molti romanzi di quel periodo, perché svelarono il segreto che la preziosa materia di cui sono fatti i libri si ritrova tutt’attorno a noi, nei salotti e nelle cucine dove vivono le donne, e si accumula a ogni battito dell’orologio. 
Non è un mistero il fatto che secondo Virginia Woolf tenere un diario fosse molto utile, non solo perché, come scrisse nell’aprile del 1919, «l’abitudine di scrivere così, solo per il mio occhio, è un buon esercizio. Scioglie le giunture», ma soprattutto ai fini della memoria, un pensiero che diventa il tema centrale del racconto Il diario di Joan Martyn, al quale con ogni probabilità deve molto Antonia Byatt; il racconto si divide in due parti, una delle quali è il diario di uno dei personaggi, espediente che consente all’autrice di focalizzare ancora una volta l’attenzione sulla condizione femminile in periodi storici nei quali la donna doveva necessariamente sposarsi per approdare alla sua funzione sociale di moglie e di madre. L’istruzione femminile è un fatto non scontato, il diario è senz’altro una testimonianza importante, sebbene anche una delle protagoniste nasconda i fogli su cui ha appena scritto, come soleva fare Jane Austen. 
In generale, nei racconti in cui si affronta il tema della condizione femminile, il filo conduttore è la riflessione, talvolta la presa di coscienza di sé, come nello splendido racconto La società, in cui le protagoniste si riuniscono, stabilendo infine che «lo scopo della vita è produrre brava gente e buoni libri», dove produrre sta per generare. È innegabile che la riflessione woolfiana sulle donne si traduca in massime di una lucidità e di una validità che resisteranno al tempo: 
«È ingiusto imporre alle donne il marchio della castità tanto quanto quello della non castità». 
Le donne dei racconti di Woolf si arrovellano sul loro futuro, alcune leggono, preoccupate della questione della memoria e spesso di quella che riguarda gli antenati, tassello fondamentale della propria identità: riflette molto sull’utilità del ricordo, Woolf, interrogandosi per il tramite dei suoi personaggi. 
Accanto a questi temi di natura sociale, anche l’elemento fantastico fa capolino in diversi racconti. In uno di questi, Le tendine di Tata Lugton, le figure stampate sulla stoffa si animano non appena la protagonista si addormenta con l’ago tra le mani; e bestie stregate su paesaggi montani prendono vita insieme ad altri personaggi immaginifici: 
Ma non appena Tata Lugton russava per la quinta volta, la stoffa azzurra si trasformava in aria azzurra; gli alberi sventolavano le foglie; si poteva sentite l’acqua del lago infrangersi; e vedere la gente attraversare il ponte e salutare con la mano dalla finestra. 
E tra i racconti fantastici il più bello è La vedova e il pappagallo, pubblicato negli anni Ottanta da Emme, con illustrazioni di Franco Matticchio: proprio una delle illustrazioni dedicate a questo racconto rivestono la copertina della pubblicazione Racconti edizioni; uggiosa, con il personaggio femminile che nel racconto cammina a lungo sotto la pioggia. 
Quelli dal 1917 in poi sono racconti differenti: lasciata la narrazione che ricorda Austen, Woolf si dedica a una scrittura più cerebrale, tesa ad ampi affreschi di atmosfere e pensieri, più che di intrecci, il flusso di coscienza che ha caratterizzato gran parte dei suoi romanzi permea anche i racconti. 
L’evoluzione della penna woolfiana si coglie nel modo migliore, perché i racconti si susseguono in ordine cronologico e nelle note bibliografiche finali si possono leggere interessanti particolari sul periodo cui appartengono, sulla pubblicazione e la stesura. Il volume, a cura di Liliana Rampello, soddisfa in tal modo chi voglia guardare a questi scritti con occhio critico. 
Dalla prima all’ultima pagina si può godere della meravigliosa scrittura di Woolf, che non è fatta solo di pensieri sotto la lente d’ingrandimento della scrittrice, ma di soavi descrizioni, dove la sua fantasia corre a briglie sciolte: 
Forse era veramente una gemma dopotutto, indossata da una principessa bruna che trascinava il dito nell’acqua mentre sedeva a poppa della barca e ascoltava il canto degli schiavi che la conducevano al di là della baia. 
È un piacere ritrovare la voce di Virginia Woolf nelle sue short stories, che la impegnarono anche durante la stesura dei romanzi e che si rivelano infatti lo straordinario laboratorio di scrittura di una delle più grandi autrici di tutti i tempi.

Lorena Bruno
@Lorraine_books